“Il Natale di Gesù non offre rassicuranti tepori da caminetto, ma il brivido divino che scuote la storia. Natale è la rivincita dell’umiltà sull’arroganza, della semplicità sull’abbondanza, del silenzio sul baccano, della preghiera sul mio tempo, di Dio sul mio io. Per favore non mondanizziamo il Natale!” ha detto papa Francesco durante la scorsa udienza del mercoledì. E se noi cristiani occidentali dei cosiddetti paesi ricchi siamo quelli che rendono il Natale un fatto mondano, i cristiani di un paese come la Siria sono quelli che vivono senza neanche “i rassicuranti tepori da caminetto” e che ci ricordano nel concreto la povertà e la fuga dalle proprie case. Ne abbiamo parlato con Mario Zenari, cardinale e e nunzio apostolico a Damasco.



Il papa ci ricorda di non rendere il Natale un fatto mondano, cosa che i cristiani di Siria non possono fare di certo, dopo tanti anni di guerra, morte, distruzione. Come commenta questa differenza?

In realtà questo è l’ottavo Natale che passiamo in stato di guerra perché la guerra, nonostante quello che si dice, non è ancora finita. Sotto l’aspetto della sicurezza è certamente migliore dei precedenti, viviamo un po’ di sollievo per le nostre comunità dove non cadono più le bombe però la guerra continua, si spara, si uccide, si fugge ancora.



Com’è la situazione a Damasco?

Questo Natale lo celebriamo in un clima un po’ più disteso e di gioia, ci sono anche alcune decorazioni esterne sulle case e sulle chiese, addirittura qualche parrocchia farà la Messa serale e qui in cattedrale celebriamo la veglia di mezzanotte, tutte cose impensabili fino a poco tempo fa. 

Il vostro Natale fa proprio pensare a quello della Santa Famiglia, nella povertà, nella paura. Un Natale a cui noi cristiani d’occidente dovremmo guardare.

Direi di sì, il nostro Natale per tanti aspetti ricorda quello della Santa Famiglia che dovette lasciare la propria casa proprio come i nostri cittadini, e che poi dovette fuggire all’estero, ancora come accade oggi in Siria. Abbiamo metà della popolazione siriana, 12 milioni quando prima della guerra eravamo circa 23 milioni, fuori delle proprie case perché distrutte o dei propri villaggi che sono stati rasi al suolo. Abbiamo 6 milioni di sfollati interni e 5 milioni all’estero nei paesi vicini come il Libano e la Giordania. Ci sono ancora cinque ecclesiastici di cui dopo 5 anni e mezzo non si sa più niente, per cui il clima è di distensione rispetto agli anni scorsi, i mortai non colpiscono più le chiese, ma la situazione rimane difficile. Sono cessate le bombe ma come dico sempre più del 70 per cento della popolazione è colpita dalla bomba della estrema povertà. Viviamo il Natale con un misto di gioia e di tristezza.



Il popolo cristiano come vive tutto questo?

Si cominciano a riparare le chiese distrutte dalle bombe, ma le comunità sono colpite da una grossa ferita, più della metà dei cristiani siriani ha lasciato il paese. E’ una sorta di chiaroscuro, gioia e sofferenza. Vedere le comunità cristiane così ridotte è una grande sofferenza.

(Paolo Vites)