Nell’agosto 2016 l’esercito siriano avanzava da Palmira a Deir el Zor e da Aleppo verso Manbij ed era in vista della riconquista di tutta la Siria del nord. E’ a quel punto che i combattenti curdi — forti delle maggiori risorse offerte dagli Stati Uniti — giocarono di anticipo e “in volata” riconquistarono tutta la Siria settentrionale, precludendola alla riunificazione.



Accadeva così che i curdi che rappresentano al massimo il 10 per cento della popolazione siriana, grazie ai buoni auspici degli Usa, riuscivano ad ottenere il 30 per cento del territorio siriano e l’80 per cento delle riserve di gas e petrolio.
Da allora i passi compiuti dagli Stati Uniti sono stati volti al perfezionamento di uno Stato curdo sulla falsariga di quanto concesso ai kosovari, con il conseguente accentuarsi dell’attrito con la Turchia.



Poi, come sappiamo, la decisione di Trump di ritirare le forze Usa dalla Siria ha rimescolato le carte. Però, questa volta, Damasco ha colto la palla al balzo e memore di quanto era già accaduto precedentemente ha giocato di anticipo. Infatti, la decisione è stata quella di far entrare il proprio esercito nella città di Manbij non appena le forze statunitensi si fossero ritirate.

Il dispiegamento dell’esercito siriano (che comprende unità della 1a, 4a, 5a divisione, le forze speciali “Tigre”, la brigata “Aquile di Raqqa” nonché aliquote della polizia militare russa) a 25 km da Manbij nella località di Arimah, si allinea con la decisione dei rappresentanti arabi e curdi del Consiglio militare di Manbij che hanno stimato preferibile l’ombrello protettivo di Damasco anziché l’imminente invasione turca.



In particolare, i leader locali hanno sottoscritto i seguenti punti: 1)  apparteniamo alla Repubblica araba siriana il cui presidente è Bashar Al Assad; 2) rifiutiamo ogni invasione turca nella zona di Manbij e nelle campagne e qualsiasi attacco al suolo siriano; 3) qualsiasi invasione turca sarà soddisfatta da una forte risposta popolare; 4) chiediamo che l’esercito siriano entri immediatamente a Manbij; 5) la sovranità del paese deve essere garantita.

Da parte sua Ankara sembra non abbia nulla da obiettare in proposito. Come riferito dall’agenzia Reuters il presidente Erdogan ha dichiarato che “la Turchia non ha niente a che fare con il Manbij siriano, se i militanti delle Forze di autodifesa popolare curde lasciano la città”. Accordi dettagliati sono stati presi a Mosca tra la squadra guidata dal ministro degli Esteri turco Davutoğlu e la controparte russa.

A questo punto si aspetta solo la smobilitazione delle forze statunitensi e francesi da Manbij, sperando che non ci siano altre “sorprese”.