A poche settimane dalla ormai famosa frase di Trump (“La guerra contro l’Isis è stata vinta, l’esercito americano può tornare a casa”) quattro soldati sono rimasti uccisi in un attacco kamikaze nella città curdo-siriana di Manbij. Un attacco che ha colpito soldati americani e curdi allo stesso tempo: secondo il generale Giuseppe Morabito, intervistato da ilsussidiario.net, “è stato un obiettivo mirato, colpire le due forze alleate per creare destabilizzazione dove possibile”. Ha ragione Trump a dire che la guerra contro l’Isis è vinta dal punto di vista militare, aggiunge, “ma non lo è quella contro il terrorismo, che come dimostrano gli esempi di Iraq e Afghanistan è impossibile vincere”.



Trump annuncia la fine della guerra contro l’Isis e i soldati americani tornano a morire. Che cosa sta succedendo?

Intanto va detto che quanto successo in questi ultimi giorni in Kenya, in Afghanistan e appunto in Siria sono eventi scollegati fra loro. Non c’è nessun collegamento di tipo pratico perché le forze islamiche non hanno la capacità di farlo, è solo lo spirito fondamentalista e terrorista che è comune. Quanto è successo in Siria è invece emblematico: la città è controllata dai curdi, erano presenti pattuglie americane e i jihadisti hanno fatto apposta ad attaccarli insieme, uccidendo soldati americani e curdi.



Perché?

I miliziani dell’Isis vogliono destabilizzare il territorio dopo la dichiarazione di Trump, che dal punto di vista militare è sensata, perché ha effettivamente battuto lo stato islamico come forza territoriale. Gli americani hanno distrutto dal punto di vista militare l’Isis, i cui miliziani oggi controllano a malapena il 2% del territorio siriano. Ma un conto è sconfiggere dal punto di vista militare, un altro è sconfiggere il terrorismo: quello purtroppo non si sconfigge. Guardiamo a quello che succede da anni in Iraq o recentemente in Afghanistan, dove le stragi terroristiche sono continue. E’ stato traslato lo stesso metodo in Siria.



Una domanda probabilmente dietrologica: sappiamo che Erdogan ha annunciato che una volta andati via gli americani vuole attaccare i curdi siriani. Questo attentato non potrebbe essere stato pensato ad Ankara per mettere le mani avanti? Una provocazione?

E’ difficile. Trump ha dichiarato che vuole andare via: portando a casa quattro soldati morti otterrà che l’opinione pubblica chieda il ritiro immediato. La mano turca in realtà potrebbe esserci, Erdogan ha portato molti miliziani islamisti in Turchia per organizzare cellule terroristiche e chi ha colpito a Manbij potrebbe fare parte di questa strategia, ma è molto azzardato darlo per sicuro.

C’è comunque clima di tensione molto alto verso i curdi siriani. Tra l’altro i curdi hanno dichiarato che non accetteranno mai una zona di sicurezza sotto il controllo della Turchia.

I curdi infatti hanno chiesto aiuto in alcune aree come Idlib all’esercito di Damasco per creare un’area di determinatezza: se attacchi una città curda sotto protezione siriana attacchi i siriani. L’Onu ha dichiarato che si entra in Siria solo per azioni contro i terroristi, ecco perché Erdogan vuole accreditare tutti i curdi come terroristi per poterli attaccare.

In questo scenario Russia e Iran che ruolo hanno?

La Russia occuperà lo spazio che lasciano gli americani se veramente se ne andranno; diventa la potenza egemone nell’area perché non ritirerà mai le sue truppe. L’Iran in questo momento è riuscito a portare da Teheran passando per Iraq e Siria l’area di influenza sciita fino al Mediterraneo. Qualunque cosa avvenga l’Iran non farà nulla perché ha raggiunto l’obbiettivo di avere la continuità territoriale dal Mediterraneo a Teheran.

Il quadro generale rimane molto fragile, è d’accordo?

Assolutamente sì,  e questi attacchi sono fatti apposta per creare ancora più incertezza nella popolazione. Quando un presidente americano deve portare quattro soldati morti a casa, non è certo per lui una buona carta, diventa anche una spinta da parte dell’opinione pubblica americana a dire andiamocene.

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