Non è stata certo la prima volta che Israele ha bombardato postazioni iraniane in Siria, ma la novità di quest’ultimo attacco, che è costato la vita a una decina di soldati siriani e ha distrutto postazioni iraniane vicino all’aeroporto di Damasco, è la rivendicazione immediata ed esplicita, accompagnata dalla pesante minaccia alla Siria di “non osare vendicarsi contro Israele”. Si tratta di un atteggiamento chiaramente provocatorio nei confronti dell’Iran, a cui Netanyahu e Trump hanno chiesto, in modo esplicito, di ritirarsi dalla Siria. La ragione alla base dell’attacco è sempre la solita: la paura di un attacco di Teheran, cosa che, spiega in questa intervista Filippo Landi, giornalista e studioso del Medio Oriente, non è assolutamente nei piani dell’Iran.



E’ la prima volta che il comando israeliano ufficializza un attacco contro obbiettivi militari iraniani in Siria, aggiungendo anche l’intimidazione a Damasco di “non osare reagire e vendicarsi”. Cosa significa questo atteggiamento?

Le ragioni sono molteplici, ma ne cito due in particolare. La prima è quanto accaduto domenica scorsa, quando il primo attacco israeliano ha visto intervenire la difesa anti missile siriana in modo massiccio con risultati che hanno preoccupato Tel Aviv: molti missili lanciati dagli aerei verso le postazioni siriane e iraniane sono stati abbattuti.

Quindi, una certa irritazione per l’insuccesso. E il secondo motivo?

Si lega alla politica israeliana in questo momento. Si va verso le elezioni politiche anticipate e il primo ministro Netanyahu vuol far comprendere all’opinione pubblica che lui ha le mani libere, quindi non gli interessano tanto i risultati sul terreno quanto far intuire all’opinione pubblica che nel suo governo ci sono persone che ritengono di essere libere di agire indipendentemente dalle pressioni internazionali, in particolare della Russia, che spinge invece per mantenere lo status quo nella regione.

Israele ha precisato che l’obbiettivo dell’attacco erano solo gli iraniani, che vengono considerati un pericolo. Trump, recentemente, a proposito dell’annunciato ritiro delle truppe Usa, ha detto che non avverrà mai finché ci saranno iraniani in Siria. Sono segnali di un possibile scontro armato?

Trump, su indicazione di Israele, ha prima rotto l’accordo sul nucleare con Teheran, poi ha deciso nuove sanzioni economiche, che però hanno trovato in Europa un’accoglienza tiepida, anche perché nessuno intende seguirlo. Secondo la politica estera europea Teheran aveva adempiuto ai suoi doveri nell’accordo stipulato con Obama. Ribadire con azioni militari che l’Iran è ancora presente in Siria – e ricordiamoci che ha aiutato a sconfiggere lo Stato islamico – tiene viva l’attenzione sul Teheran, ma ciò lo spinge l’Iran ad azioni ostili contro Israele. Ed è proprio quello che serve a Trump e Netanyahu per giustificare le proprie politiche.

Si tratta di un gioco complesso e pericoloso, che potrebbe scatenare un nuovo conflitto, non è così?

I politici iraniani, in realtà, continuano a ribadire che non hanno alcun interesse a scatenare un pericolosissimo conflitto in Medio Oriente. C’è stata sì una reazione rabbiosa del Comandante delle guardie rivoluzionarie dopo il bombardamento israeliano, ma si tratta di un messaggio rivolto soprattutto al presidente iraniano, che ha infatti ordinato di non reagire al bombardamento. Il comandante delle guardie rivoluzionarie ha voluto far sapere che loro non intendono essere bersagli dei missili israeliani a lungo senza reagire.

E la presenza della Russia in questo quadro?

Ha cambiato la situazione sul terreno, perché i missili consegnati ad Assad hanno reso più forti l’esercito e la difesa aerea siriana, ponendo problemi a Tel Aviv e dando a Mosca la possibilità di incidere in Medio Oriente sui rapporti tra Israele e Siria.

Che possibilità ci sono, se ci sono, di abbassare i toni e trovare una sorta di accordo?

Ricordiamo che la presenza iraniana a fianco di Assad ha fatto comodo anche all’Occidente e addirittura allo stesso Israele, perché lo Stato islamico non sarebbe mai stato spazzato via senza l’aiuto dell’Iran. Per abbassare i toni ed evitare pericoli peggiori è evidente che le truppe iraniane si dovrebbero ritirare.

Sembra alquanto improbabile, no?

E’ possibile solo se gli israeliani capiscono che il ritiro richiede di pagare un prezzo politico. Ma almeno fino a dopo le elezioni nessun candidato alla guida di Israele potrà fare alcuna promessa. Se ne parlerà dopo le elezioni. Ma cosa Trump e Israele intendano dare in cambio per il ritiro delle milizie iraniane è tutto da capire.

(Paolo Vites)