Secondo l’Unicef, nel 2018 sono morti in Siria 1.106 bambini, il numero più alto di bambini uccisi in un solo anno da quando è scoppiata la guerra. Ma la realtà è sicuramente più grave rispetto ai numeri forniti dall’Onu. Numeri che la dicono lunga di come la guerra in Siria sia tutt’altro che finita, nonostante i proclami di Trump e Putin: in Siria si continua a morire e, come sempre, sono le popolazioni civili a pagare il prezzo più alto. Come ricorda in questa intervista monsignor Mario Zenari arcivescovo di Damasco – notizia mai diffusa in Occidente, che fa capire quanti altri casi si verifichino e di cui restiamo all’oscuro – circa 70 bambini sotto i 5 anni di età sono morti di freddo e di fame nel tentativo di raggiungere i campi profughi, fuggendo da Baghouz, l’ultimo avamposto dell’Isis. “Se oggi cadono meno bombe o non ne cadono più, c’è però una ‘bomba’ disastrosa che colpisce otto siriani su dieci: la povertà e la fame”.



Monsignor Zenari, l’Unicef parla di oltre mille bambini morti nel 2018, la cifra più alta dall’inizio del conflitto. La situazione è ancora così drammatica?

L’Onu, purtroppo, è una fonte affidabile, queste cifre sono dunque veritiere. La gente continua a morire in Siria: oltre ai campi minati, disseminati ovunque, o agli esplosivi abbandonati, si muore anche di freddo e di fame. Da dicembre a oggi tra i bambini e le madri che sono fuggiti da Baghouz verso i campi profughi sono morti in molti, ci sono stati una settantina di bambini sotto i 5 anni morti per la strada, a causa del freddo, della disidratazione e della malnutrizione.

Ma la guerra non si avvia verso la conclusione?

E’ un grosso abbaglio dire che la guerra è terminata, non è così. Nella provincia di Idlib (dove si trovano i miliziani dell’Isis fuggiti dal resto del Paese, ndr) vivono ancora tre milioni di civili e nessuno sa cosa gli succederà. Ci sono zone, come Damasco e Homs, dove non cadono più le bombe, ma la popolazione si trova alle prese con un altro tipo di bomba: la povertà. L’Onu ha dichiarato che in Siria, su dieci persone, ben otto vivono sotto la soglia della povertà.

In questa situazione drammatica, i Paesi occidentali continuano a mantenere le sanzioni contro Assad. Che cosa ne pensa?

Parlare di questo vuol dire aprire un capitolo infinito e difficile da affrontare. Ci sono in atto diversi tipi di sanzioni, da quelle personali, che interessano 277 persone che non possono viaggiare in Europa, a quelle commerciali e sui prodotti petroliferi. Ed è questo che mette in ginocchio la Siria.

La Chiesa è sempre stata in prima linea nell’aiutare la popolazione. Oggi come stanno le cose?

Ciascuno fa quello che può. Il grosso degli aiuti è fornito dalle Nazioni Unite, che devono mantenere circa 13 milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria. Le chiese cercano sempre di arrivare alla gente per quel che possono.

A Damasco le attività commerciali sono riprese?

Nel centro della città i negozi sono sempre rimasti aperti, come i ristoranti, anche perché qui si trovano le ambasciate e i palazzi del governo. Ma Damasco non è lo specchio di quello che succede in tutta la Siria: basta andare in periferia, dove ci sono interi quartieri popolari in cui mancano lavoro e cibo.

L’emergenza economica, dunque, resta la principale preoccupazione?

L’emergenza è la ricostruzione, rimettere in piedi le fabbriche, dare lavoro alla gente. Lo ripeto: in certe zone sono diminuite o sparite le bombe, ma c’è una bomba enorme che colpisce otto persone su dieci: la fame.

(Paolo Vites)