Spenti i fari su Gaza, rimasti accesi per quasi una settimana, la campagna elettorale in Israele ha ripreso il suo “normale” corso. La politica israeliana, in questo, è unita ed anche ben strana, vista da un occhio europeo. Il problema di trovare una soluzione al conflitto con i palestinesi è diventato quasi un inciampo alle strategie dei partiti, vecchi e nuovi, che si contendono la maggioranza dei 120 deputati della Knesset, il parlamento israeliano. Si parla di tutto: da Gerusalemme al Golan, dal confronto-incontro con i paesi arabi “moderati” alla guerra latente con l’Iran, dal sostegno di Donald Trump a Israele alle nuove alleanze possibili con Arabia Saudita, Egitto…



Per queste ragioni il razzo lanciato dalla striscia di Gaza, che è esploso su una casa alla periferia di Tel Aviv, non ha deviato il corso della campagna elettorale. Non ha provocato il riaccendersi di un nuovo conflitto, né rappresaglie aeree e terrestri fuori dall’ordinario. Il primo ministro Netanyahu ha cercato di evitare una nuova guerra a poco più di una settimana dalle elezioni. Ha messo in conto il lancio di nuovi razzi contro le città israeliane, comprese Gerusalemme e Tel Aviv, ed ha valutato che l’impatto elettorale non sarebbe stato affatto positivo.



La prova che c’è stata la volontà di evitare un nuovo bagno di sangue è giunta appena ieri. Domenica mattina sono stati riaperti i valichi di confine tra Israele e Gaza. Quello di Kerem Shalom per il passaggio delle merci e quello di Erez per il transito delle persone. Tutto questo a poche ore dagli ultimi razzi, sparati da Gaza nella notte di sabato, razzi che in verità non avevano fatto né danni né feriti. Quella riapertura era tuttavia parte dell’impegno non scritto, ma tuttavia assai importante, che ha portato a contenere, il giorno prima, la rabbia dei palestinesi di Gaza, scesi in strada in decine di migliaia per ricordare il primo anniversario della Marcia del ritorno dei profughi. Un anno fa, in maggio, in un solo giorno morirono quasi settanta palestinesi. Sabato scorso il bilancio delle vittime palestinesi si è fermato a quattro giovani uccisi dai soldati israeliani, più un centinaio di feriti. Un bilancio certo drammatico, ma contenuto. Il governo Netanyahu ha infatti offerto nelle ore precedenti una serie di aperture, per alleviare le conseguenze dell’assedio di Gaza sulla popolazione: dai camion di merci e aiuti umanitari nuovamente in transito da Kerem Shalom, all’ampliamento della zona di pesca nel mare antistante le coste di Gaza, dalla ripresa dell’energia elettrica per più ore al giorno al via libera degli aiuti finanziari promessi dal Qatar.



Oggi che la calma, intorno a Gaza, sembra essere ristabilita, Netanyahu e il suo nuovo principale avversario, l’ex generale Benny Gantz, insieme ai leader di una miriade di piccoli partiti possibili alleati dell’uno o dell’altro, tornano a “confrontarsi” senza affanni.

I sondaggi affermano che il nuovo partito di “centro” Blu-Bianco di Gantz potrebbe arrivare a 31 seggi, distaccando il partito Likud di Netanyahu, che potrebbe fermarsi a 27 seggi. Il blocco dei partiti di centrodestra, con in prima fila quelli alimentati dai voti degli ebrei utraortodossi, potrebbe però regalare a Netanyahu la maggioranza alla Knesset, facendogli superare l’asticella dei 60 voti di maggioranza. Era già accaduto nelle elezioni del febbraio 2009 quando Tzipi Livni, alla guida di Kadima, sconfisse il Likud di Netanyahu, ma nulla poté contro il blocco dei suoi alleati.

Intorno al partito Blu-Bianco, fondato dai tre ex generali Gantz, Yaalon e Ashkenazi, d’altra parte fatica a crearsi una rete sufficiente di alleati. Due dei partiti che raccolgono tradizionalmente i voti degli arabi con cittadinanza israeliana rischiano così di essere colpiti da un’emorragia di elettori, sconcertati dall’ipotesi, solo un’ipotesi, di sostenere il partito di Gantz. Questo partito, infatti, sostiene nel suo programma la “separazione” dai palestinesi ma non parla di uno Stato palestinese, definisce la Valle del Giordano il confine orientale di difesa di Israele, considera Gerusalemme “riunificata” la capitale eterna di Israele, vuole rafforzare le zone omogenee degli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Insomma, sarà pure un partito nuovo e di “centro” ma non appare molto diverso dal vecchio partito Likud, di centrodestra, che Netanyahu da decenni cavalca.