Ieri pomeriggio Donald Trump ha presentato pubblicamente l’intenzione di avviare nuovi progetti in grado di tutelare gli Stati Uniti, in particolare dai nuovi missili iperbolici non intercettabili di Cina e Russia. Si sta valutando anche la possibilità di uno spiegamento di armi nello spazio, laser e satelliti per intercettare i missili nemici. Se è vero che gli Usa sono fermi al 2010 come ammodernamento della loro forza militare, è anche vero che, come ci ha detto il generale Fabio Mini, “è molto cresciuta la paura per lo sviluppo armato di Russia e Cina”.
Trump lancia la costruzione di nuove armi di difesa. Recentemente la Russia ha testato quello che è stato definito il più potente missile al mondo. Siamo davanti a una escalation militare?
Sì, è proprio così. E’ una escalation in realtà cominciata quando i cinesi dovettero abbattere un loro satellite, nel 2007, che stava precipitando sulla Terra. Gli americani, che erano convinti di avere il monopolio militare dello spazio, dovettero rendersi conto che non era più così.
Questi nuovi progetti americani si possono giustificare con il fatto che è dal 2010 che non modernizzano l’apparato militare?
Diciamo che, sempre su pressione della Difesa e dell’apparato militare industriale, stiamo assistendo a una grande spinta, più che per ammodernare, per accelerare lo sviluppo della costruzione di armi. Gli americani di armi potenti ne avevano già comunque, ovviamente.
Trump ha tirato in ballo, oltre la solita Russia, anche la Cina. Si può dire che la sfida oggi è su tre fronti?
Il confronto a due non c’è più, in realtà non c’è ancora neanche quello a tre perché la Cina preferisce per adesso muoversi in altri ambiti più che in quello militare, vale a dire commerciale, finanziario e dell’innovazione tecnologica. Per anni la Cina ha copiato i modelli tecnologici dall’America e dall’Europa ma da 5-6 anni ha avviato un proprio sviluppo tecnologico con materiali e strategie diverse da quelle solite.
Quali?
Ad esempio lo sviluppo di armi contro le portaerei: non solo il classico cannone supercinetico che manda il proiettile a 160 km di distanza, buca qualsiasi cosa ed è una prerogativa americana. Davanti a queste mosse si tratta di interpretare che obiettivi abbia la Cina, contro chi e contro che cosa. Gli americani si sono sempre concentrati sugli obiettivi a terra e soprattutto nello sviluppo, contro il diritto internazionale, della militarizzazione dello spazio. Lo hanno fatto e lo fanno, e anche per non cadere in eventuali sanzioni mettono le mani avanti e dicono che ci sono minacce contro di loro.
Siamo dunque in un clima di cui dobbiamo avere paura?
Diciamo che tutti hanno la capacità di minacciare ma poi passare alla pratica è già più difficile. Quello che preoccupa è che noi europei siamo fuori dai giochi.
In che modo?
Tutta l’Europa, e non solo, è un probabile obiettivo: noi siamo dalla parte dei bersagli.
Il vecchio sistema della deterrenza, che resse per tutta la Guerra fredda, cioè armarsi per impedire all’avversario di essere più forte, è ancora la strategia valida?
No, oggi non è più la deterrenza ad evitare lo scontro, adesso si tratta proprio di provocazione.
In che senso?
Una volta ci si armava per impedire che l’avversario colpisse per primo. In realtà non era vero neanche allora, perché Usa e Urss erano entrambe pronte a sparare per prime. Adesso l’intenzione o il messaggio che viene inviato è quello di possedere le capacità di sopravvivere a un attacco a sorpresa e quindi di rispondere; non è più deterrenza, è una dichiarazione di intenti.