E’ un’America profondamente divisa quella che esce dalle elezioni di midterm. L’ “onda blu” non si è vista, anche se i democratici secondo le proiezioni e i risultati, parziali ma avanzati, della notte sembrano destinati a conquistare, anche se di poco, il controllo della Camera dei rappresentanti. Ma il presidente Donald Trump, il più imprevedibile e non catalogabile politicamente inquilino della Casa Bianca, sembra rafforzare la sua maggioranza al Senato, la Camera alta, che nel sistema statunitense ha un potere di decisione più importante nel Congresso. E vi è da aggiungere che, in questa consultazione di metà mandato, c’è stata una grandissima partecipazione al voto, che ha mobilitato entrambi i partiti.
Da un punto di vista formale, anche Trump, come molti altri presidenti in passato dopo le lezioni di midterm, dovrebbe essere considerato come un’“anatra zoppa”. Ma il risultato di questo gigantesco sondaggio sulla sua figura, dopo due anni tormentatissimi e logoranti, danno l’idea che il presidente, attaccato da tutte le parti, ha indubbiamente sfoderato un’incredibile forza di resistenza, basata con tutta probabilità sull’ottimo andamento dell’economia americana, con una disoccupazione che è di poco superiore al 3 per cento, un dato che molti economisti definiscono quasi fisiologico.
Pensare a questo punto che ci sia una svolta nella politica degli Stati Uniti, a due anni dalle nuove elezioni presidenziali e di fatto a un anno dalla preparazione della prossima campagna presidenziale, potrebbe rivelarsi un’illusione. Di certo Trump dovrà affrontare problemi interni più radicali, tra varie inchieste e magari richieste di impeachement, che sono in potere della Camera dei rappresentanti. Ma la divisione del paese, la solidità della maggioranza al Senato e, di fatto, il non sfondamento reale dei democratici se non nel consenso, per il voto degli Stati costieri molto popolati, non dovrebbero procurare ripercussioni notevoli nella linea della Casa Bianca.
Al massimo Trump potrà essere limitato, ma non di certo imbrigliato nelle sue scelte di fondo.
Quello che è apparso più chiaro di tutto è che la politica dei dazi e dell’abbattimento della pressione fiscale hanno giocato un ruolo importante nella sostanziale tenuta del presidente. C’è chi sostiene che la ripresa americana sia cominciata con la politica economica dell’ultimo mandato di Barack Obama e il fatto può anche essere vero. Ma non c’è dubbio che Donald Trump ha insistito su una politica di espansione che ha rimesso in moto la macchina produttiva prodigiosa e il mercato americano.
Ci sono in questa linea economica dei problemi che sono venuti a galla e che hanno risvegliato in un certo senso il Partito democratico. Lo hanno almeno mobilitato sulla linea di Bernie Sanders: le diseguaglianze sociali che si sono accentuate, l’eterno problema della sanità pubblica.
Quello che sembra al momento limitare l’azione del Partito democratico è l’assenza di un leader visibile e conosciuto. Non a caso è intervento negli ultimi comizi lo stesso Barack Obama per contrastare il presidente e difendere le ragioni dei democratici. In questo momento, dopo la sconfitta di Hillary Clinton nel 2016, il Partito democratico ha coinvolto soprattutto giovani, donne, uomini di colore, persone che si sono anche battute bene, che rappresentano una scelta giusta e che possono non più identificarsi con l’establishment, quell’identificazione che tanto ha nuociuto alla Clinton.
Ma nel sistema americano un conto è andare a prendere il voto nei singoli Stati o addirittura nelle singole contee, un altro conto è affrontare una campagna presidenziale e imporre un proprio leader alla Casa Bianca.
Con tutta la sua imprevedibilità e la sua politica di continue impressioni e sensazioni, che sembrano spesso poco razionali, Trump ha di fatto imposto una leadership che prima si è posta come anti-sistema, poi ha affrontato questioni geopolitiche in modo totalmente nuovo nei confronti dell’Europa in particolare.
Donald Trump può essere discusso e discutibile, ci mancherebbe altro, ma non prenderlo in considerazione e limitarsi a contrastarlo solo sul piano delle virtù personali e della sue improvvise simpatie e antipatie internazionali, minacciando ogni mattina un impeachment, sarebbe un errore e forse un pericoloso boomerang. Di fatto, oggi l’inquilino della Casa Bianca è diventato un punto di riferimento della sconvolgimento politico e sociale che è in corso in tutto il mondo. Per invertire la rotta la “piccola vittoria” dei democratici alla elezioni di midterm dovrebbe essere una ripartenza e non una sorta di “vittoria di Pirro”.