Governatori, Senatori, membri della Camera più una quantità di rappresentanti locali. Questo il bottino elettorale in palio quest’oggi nell’America di Trump. Di Trump? Molti hanno definito la sfida delle Midterm Elections come un referendum sul Presidente e il suo operato, altri come l’attesa dell’esito di una biopsia per capire quanto grave sia il malato America. La campagna è stata durissima, dispendiosa e “divisive“, fonte di divisione, come se non fossimo già abbastanza divisi. 



Forse perché gli scanner che leggono le schede elettorali si inceppavano in continuazione, forse per via dell’orario, ma una fila così lunga ai seggi in venticinque anni non l’avevo mai vista e tutto ciò nonostante un tempastro buio e tempestoso. Quattro anni fa solo il 37% degli aventi diritto si presentò alle urne per questo tipo di appuntamento.



Un voto in condotta per Trump e per il futuro dell’America? Di tutta la campagna elettorale la cosa che mi aveva colpito di più era stato un paginone del New York Times acquistato da tale Brett M. Kingstone (magnate del settore immobiliare) per chissà che cifra. Il paginone si apriva con la seguente domanda a lettere cubitali: “Il 6 Novembre gli Stati Uniti diventeranno una nazione socialista?”. E poi, “Cesseranno gli US di essere quel bastione indipendente di libertà, libera intrapresa e capitalismo che ha dato energia al Paese tale da permetterci di ottenere in due secoli e mezzo risultati che gli altri non sono riusciti a raggiungere in due millenni? Si, è possibile”. Tanto per farci capire il clima nel quale siamo arrivati a questo Election Tuesday

Sono le 10:30 di sera e su tutte le reti televisive continuano a gocciolare numeri e percentuali come da una flebo… ci vorranno ore per capire come andrà a finire la storia nei dettagli. Cosa potrebbe succedere? A guardare i nomi sulla carta in teoria moltissimo. Queste sono le elezioni con la più bassa percentuale di candidati “bianchi”, con la prima candidata nera a un seggio di Governatore (la Democratica Stacey Abrams in Georgia), la prima senatrice donna del Tennessee (la Repubblicana  Blackburn), e poi una schiera di personaggi che battono una serie di record come le donne che rappresentano un quarto delle candidature,  i 215 candidati di colore, i 26 openly gay, per finire con Christine Hallquist, prima transgender in lizza per il seggio di Governatore in Vermont. In teoria, perché in pratica – e sono le 10:45 – le proiezioni ci dicono che i Repubblicani, gli uomini di Trump, o quanto meno gli uomini del “Trumpismo”, sono già pressoché certi di aver mantenuto la maggioranza in Senato, ma i Democratici conquistano la Camera, la House of Representatives.

C’erano due numeri magici a cui i Democratici puntavano: 2 seggi in Senato e 23 alla Camera da strappare ai Repubblicani per far capire al “Presidente che non ascolta nessuno” che il Paese è già stanco di lui, delle sue alzate d’ingegno, del suo approccio fazioso e distruttivo e degli insabbiamenti dei (presunti) loschi affari in cui sarebbe coinvolto, dai pasticci con i russi a quelli con le pornostar. Avere la maggioranza in Parlamento significherebbe per i Democratici metter le mani sul freno del potere esecutivo del Presidente e anche poterlo mettere alle strette – semplifico – su questioni legali (power of subpoena). Obama stesso fece questa sgradevole esperienza di perdere la maggioranza in Parlamento. Del resto il nostro sistema è costruito così, “checks and balances” e ogni due anni la gente, quel 40% che vota, si fa sentire dando una riequilibrata alle cose.

Sono le 11:40 e le proiezioni in sintesi ci dicono questo: il Senato resta Repubblicano, la Camera diventa Democratica, i Repubblicani vincono la corsa ai seggi da Governatore (Florida in testa), i Democratici raccolgono tantissimi voti nella America suburban, anche nei cosiddetti “Trump States“. Così ognuno si stiracchierà i risultati a piacimento perché nessuno ha ottenuto quel plebiscito di cui andava in cerca.

Nancy Pelosi sta parlando a una folla osannante perché da domani invece di essere la Minority Leader sarà a capo della maggioranza Democratica alla Camera. Così il partito “blue” fa festa a metà. Nel frattempo sul Fox channel i Repubblicani si felicitano per quello che chiamano successo, ma che altro non è che uno scampato pericolo.

In verità nessuno è contento, ma nessuno osa lamentarsi. Sarebbe un segno di debolezza, e mostrarsi deboli sarebbe anche peggio che perdere le elezioni. Gli Stati Uniti sono solo ancora un po’ più divisi. God Bless America.