La sua storia, crudelissima, aveva fatto il giro del mondo. Abdullah Hassan, 2 anni di età, era un bimbo yemenita colpito da una malattia gravissima e con poche speranze di uscirne, una rara malattia genetica che colpisce il sistema nervoso. Il padre, nella speranza di un ultimo tentativo che potesse salvarlo, lo aveva portato in una clinica specializzata americana. Ma la madre era dovuta restare a casa, a causa del razzistico provvedimento varato da Donald Trump a inizio mandato, il “travel ban”, divieto di ingresso per gli abitanti di nazioni considerate pericolose perché potenzialmente ospiti di terroristi.
USA, MORTO BIMBO YEMENITA SIMBOLO DEL “TRAVEL BAN”
Iran, Libia, Somalia, Venezuela, Corea del nord e anche Yemen, di cui era originaria la donna, sono i paesi i cui cittadini non possono entrare negli Stati Uniti. Qualche giorno fa il marito aveva lanciato un drammatico appello: . “Mia moglie mi chiama ogni giorno, vuole baciare e abbracciare nostro figlio per l’ultima volta, non abbiamo più molto tempo, per favore aiutateci a riunire la nostra famiglia”. Solo pochi giorni fa la madre è potuta arrivare in America, riabbracciare il figlio e vederlo morire. Il Dipartimento di stato aveva finalmente deciso, per motivi umanitari, di esentarla dal bando, ma in realtà perché tutto il mondo stava protestando contro gli Stati Uniti, che ormai con le loro politiche disumanitarie (vedi la morte qualche giorno fa di due bambini guatemaltechi detenuti nei centri di detenzione per migranti al confine con il Messico) e razziste hanno perso ogni rispetto.