NEW YORK — “In God we trust”, abbiamo fiducia in Dio, in lui poniamo la nostra fiducia. La prima volta che l’ho notato (e ci ho pensato) è stata quando mi sono ritrovato con in mano un dollaro ed i piedi sul suolo degli United States of America. Avete presente una banconota americana? Da una parte Washington, Hamilton, Jackson, Grant o Franklin, dall’altra “fiducia in Dio”, piramide massonica con tanto di “occhio di Dio” a marcarne il vertice triangolare (come nelle rappresentazioni dell’Onnipotente nei libretti del catechismo di quando eravamo piccoli — io al catechismo non ci andavo, ma quella figura mi spaventava), invocazioni al “Nuovo Ordine”, richiesta di favori divini verso ciò che si intraprende… Così è l’America, sin da quando è nata, cristiana e massona per volere dei suoi Founding Fathers.
Al disincantato occhio europeo non è solo questa strana commistione tra vil danaro ed il Supremo a generare perplessità; è quest’invadente presenza di Dio nel parlare di tutti, dall’uomo della strada ai protagonisti dello sport, dall’ultimo politico al presidente, perché in America, in un modo o in un altro, “Dio” è sempre tra i piedi, e se c’è qualcuno da ringraziare, in privato o in pubblico che sia, il primo è certamente lui. Persino quando si starnutisce se ne invoca la benedizione! Dio è un po’ come le bandiere a stelle e strisce che ti ritrovi ovunque, anche nei vicoli più nascosti.
Sulla bocca di tutti, sì, ma c’è qualcuno che ci crede? Ci si fida davvero di “Dio”?
Negli anni 60, quando il numero di studenti inseriti nel sistema pubblico cominciò a superare quello dell’istruzione privata, due tribolati pronunciamenti della Supreme Court vietarono che nelle scuole pubbliche si iniziasse la giornata con una preghiera, come tradizionalmente si era sempre fatto. Il “Dio dell’America”, innegabilmente e storicamente il Dio cristiano, non andava più bene a tutti e occorreva proteggere la libertà di quelli che non ci credono e che non sono a proprio agio nell’affidarsi a lui. Quel che non è mai stato scalzato e con cui, nonostante vari tentativi di farlo fuori, ancora si comincia la giornata, è il “Pledge of Allegiance”, il giuramento di fedeltà al paese. Così a tutt’oggi studenti di ogni età, razza, colore e religione, mano al cuore, ogni mattina recitano: “I pledge Allegiance to the flag of the United States of America…”, ovvero, “Giuro fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti d’America e alla Repubblica che rappresenta, una nazione sotto Dio, indivisibile, con libertà e giustizia per tutti”.
Eh sì, c’è quella “nazione sotto Dio” che disturba un po’, ma in fondo l’America, questa America frammentata, impoverita eppure sempre prepotente la fiducia in Dio non ha nessuna intenzione di perderla.
Purtroppo non si capisce bene come e sembra che l’unico modo per salvaguardare gli “antichi valori di sempre” sia arroccarsi e star pronti a combattere per la difesa della propria cittadella. Così mentre alcuni Stati sfoderano l’arma legislativa perché “In God We Trust”, da sempre il motto del paese, ricompaia in tutte le scuole, in posti come New York i nuovi valori (o la sterilizzazione dei vecchi) ci portano verso la liberalizzazione della marijuana, decisione dettata da… una profonda presa di coscienza di ciò che questa svolta storica permetterà: trovare i soldi per risistemare il sistema della subway che cade a pezzi!
Una intelligenza di giudizio veramente degna di nota. Come dire: “di Dio c’è poco da fidarsi, ma del bilancio sì”.
Eppure… eppure c’è ancora “qualcosa”. Qualcosa che a chi ci guarda da di là dell’oceano probabilmente sfugge. Anche nella confusione e nell’inimicizia che segnano tristemente questi tempi c’è “qualcosa” che ci fa sperare, qualcosa che rende l’America unica. In God we trust: forse è tempo di capire quel che continuiamo a dire da due secoli e mezzo.