Di raso e d’acciaio, la definisce il New York Times. E’ la First Lady statunitense, chiedo scusa: la Prima Donna a prendere in mano le redini (grazie alle elezioni di novembre del 2018) di un inferocito cavallo, le cui viscere sono colme di soldati e soldatesse rimaste in attesa per due anni (e non solo), finalmente liberi di saltar fuori e andare all’assalto con la loro generalessa che si è fatta un nome, e anche nemici nel suo stesso partito (come suole succedere), per essere sempre stata pronta a non mandargliela a dire a nessuno. Va ricordato che nella linea di successione è seconda dopo il vicepresidente. È stata la prima e unica donna Speaker of the House, presidente della Camera dei deputati, e la prima italo-americana ad occupare quella posizione. I suoi primati politici non sono pochi.
Nancy Pelosi è figlia d’arte della politica (padre e fratello, sindaci di Baltimore a loro volta, nella sua città natale, e madre sempre attiva nel partito; per Nancy Patrizia invece lo Stato da rappresentare sarà la California). È curioso aver notato che la sua età non si nasconde in nessun giornale in queste settimane; tale rivelazione in genere in un paese come gli Stati Uniti, che rimane molto riservato e attento a non dover mai chiedere, pronunciare o annunciare il numero degli anni, soprattutto con le signore, questa volta è invece spesso sottolineato ma per farle onore, anche per la forma in cui lei si presenta: bastino i suoi altissimi tacchi a spillo con punta tagliente, considerati principalmente sexy, che lei, donna snella ed elegante, porta come arma. È il simbolo più evidente della sua personalità provocatoria per quelli che stanno diventando i suoi No, No, No al presidente reggente e per chi, nel suo stesso partito, metteva in questione la sua età.
Questa signora (madre di cinque figli e con tanti nipoti), che purtroppo alcuni avrebbero preferito non votare alla presidenza e non darle di nuovo il potere che si era guadagnata e meritata negli anni, ha ora i suoi sostenitori nei deputati più giovani entrati al Congresso, agguerriti e con una notevole maggioranza di donne ed etnie varie, che per la loro carenza di esperienza politica avevano bisogno di un paladino. Della Pelosi si può dire che come political animal si è subito dimostrata, con quella sua voce vellutata, di essere diventata il peggiore incubo per chi ora governa nella Casa Bianca, e anche nel mondo.
Contro lo scetticismo troppo spesso italiano, piaccia o no, ci si schieri a sinistra, a destra o in un partito whatever (parola che nasce nella California negli anni settanta e diventa parodica per ogni californiano, soprattutto da chi sull’altra sponda, quella newyorkese, voleva prendere in giro una regione sempre vista un po’ da tutti noi come Peter Pan Land ma che ora è più rispettata per essere spesso foriera di una certa avanguardia progressista); contro ogni disfattismo, questa onorevole presidente è il trionfo di quella mentalità e cultura molto americana che crede ancora nelle possibilità del suo paese e del suo governo, perché il peso del passato (diversamente da quanto accade in alcuni paesi europei, soprattutto quelli meridionali) è meno incisivo, meno rilevante della responsabilità del presente e della speranza del futuro.
Per chi scelga di parlare di distopia o immaginare solo scenari apocalittici, per chi abbia cessato di pensare e vedere il progresso, aggiungo solo questo: quando io nascevo in questa Italia, non avevo il diritto di votare. E negli Stati Uniti si è dovuto attendere fino al 2006 perché una donna ottenesse la posizione di presidente della Camera, con poteri eccezionali. Che sia toccato ad una persona che considero una connazionale è qualcosa che mi piace celebrare perché questi sono importanti avvenimenti che ci portano in avanti, verso un futuro sempre migliore. E non mi scuso per il mio ottimismo, soprattutto in questo momento in cui vediamo la riapertura del governo americano. La negoziazione è ripartita e lo sconfitto non è la presidente della Camera.