Il caso Huawei tiene banco, clima di alta tensione tra Usa e Cina. Dopo l’incriminazione della società per frode finanziaria, Pechino ha deciso di prendere posizione: si tratterebbe «di un tentativo motivato politicamente di infangare la reputazione e attaccare un’azienda cinese». Scontro aperto tra le due potenze mondiali, che si aggiunge al già delicato tema dei dazi. Huawei si è detta estranea alle accuse, con l’avvocato di Meng che l’ha definita un ostaggio nella sfida tra Stati Uniti e Cina. Come sottolinea Repubblica, la Cina ha più volte chiesto al Canada di lasciare andare Meng, parlando di “violazione dei diritti umani”. Oggi Meng apparirà di fronte al tribunale di Vancouver per l’udienza di verifica della libertà vigilata ed entro domani gli Usa dovranno presentare la richiesta di estradizione. (Aggiornamento di Massimo Balsamo)
SOCIETA’: “NESSUN ILLECITO”
Deflagra il caso Huawei con i rapporti Usa-Cina che rischiano di risentire terribilmente dei due atti d’accusa depositati dalla Giustizia americana a New York e Seattle contro il colosso delle comunicazioni accusato di furto di dati segreti e frode per violazione delle sanzioni nei confronti dell’Iran. Come riportato da Rai News, il ministro della Giustizia ad interim, Matthew Whitaker, ha detto che la Cina dovrebbe essere preoccupata dalla condotta di Huawei e ha aggiunto che queste azioni “vanno avanti da anni”. Anche il segretario al Commercio, Wilbur Ross, è stato durissimo: “Mentire, ingannare e rubare non è una perseguibile strategia per la crescita”. Pure l’FBI si è schierato:”Le accuse mettono in evidenza le “azioni sfacciate e persistenti” di Huawei ai danni “di società e istituzioni finanziarie americane: un rischio sia per la sicurezza economica sia per quella nazionale, ha detto il numero uno dell’Fbi, Christopher Wray, secondo cui “l’ampiezza delle accuse” presentate “chiarisce quanto seriamente l’Fbi prende queste accuse”. Il colosso cinese però si difende e nega ogni accusa affermando di “non aver mai commesso le violazioni citate” e anche di “non essere a conoscenza di alcuna violazione” fatta da Meng Wanzhou, la manager figlia del fondatore su cui pende la richiesta degli Stati Uniti di estradizione dal Canada a seguito dell’arresto effettuato il primo dicembre a Vancouver su richiesta americana. (agg. di Dario D’Angelo)
LE SANZIONI VIOLATE
Alla vigilia del nuovo round di trattative commerciali tra Usa e Cina irrompe come un uragano il caso Huawei dopo i due atti di accusa presentati dalla Giustizia americana a New York e Seattle nei confronti del colosso della comunicazione di Pechino per furto di segreti tecnologici, frode e violazione delle sanzioni contro l’Iran. Accuse pesantissime, che mettono ancora più in difficoltà la posizione di Meng Wanzhou, la figlia del fondatore Ren Zhengfei attualmente reclusa in Canada e per cui gli Stati Uniti hanno richiesto l’estradizione. La donna sarebbe la grande protagonista dell’inchiesta sul “filone iraniano”: a detta del Dipartimento per la Giustizia Usa, Huawei avrebbe infatti utilizzato una società di copertura chiamata Skycom con base ad Hong Kong, per vendere apparecchiature telefoniche all’Iran nonostante le sanzioni Usa, nel 2007 e anche in seguito. La signora Meng avrebbe tentato di ingannare le banche americane facendo credere che Huawei e Skycom non fossero collegate e anche l’azienda avrebbe tentato di mascherare questa condotta ostacolando le indagini degli inquirenti richiamando possibili testimoni in Cina. Per la donna si prefigura così il reato di frode finanziaria, che sommato ad altre accuse potrebbe portarla a subire una condanna a 30 anni di carcere.
USA ACCUSA HUAWEI
Oltre al filone iraniano, però, c’è anche quello prettamente tecnologico dell’inchiesta Usa che sembra confermare i timori di Washington rispetto ad un rischio sicurezza legato a Huawei. Due filiali del colosso cinese, come riportato dal Corriere della Sera, sono state accusate di associazione a delinquere per il furto di segreti industriali dell’americana T-Mobile. L’azione incriminata sarebbe avvenuta a Bellevue nello Stato di Washington, sede di T-Mobile. Alcuni ingegneri di Huawei avrebbero tentato di rubare i dati tecnologici del robot Tappy, sviluppato da T-Mobile per riprodurre un dito umano e sperimentare i suoi smartphone. Un piano ben congegnato iniziato nel 2012, coi tecnici di Huawei che prima avrebbero scattato foto di Tappy, poi lo avrebbero misurato e in ultimo avrebbero cercato di rubare materialmente un suo braccio robotico dal laboratorio dell’azienda concorrente. Il ladro cinese, quello pescato fisicamente con le mani nel barattolo, avrebbe negato le sue responsabilità, sostenendo di “aver trovato il braccio di Tappy nella sua borsa”, quasi a voler suggerire di essere stato incastrato. Huawei stessa negò di essere responsabile di quel gesto e scaricò il dipendente parlando di “un momento isolato di indiscrezione”. Gli investigatori Usa, però, sono convinti che Huawei avesse studiato nei dettagli un piano per impossessarsi di informazioni confidenziali dei concorrenti: “I dipendenti erano istruiti a convogliare le informazioni ottenute così in un sito web interno a Huawei e nel caso di materiale estremamente sensibile a mandare una email criptata a una casella di posta elettronica riservata”.