NEW YORK — È presto per parlare di elezioni presidenziali? Novembre 2020 non è che sia vicinissimo. Ma andatelo a dire ai 16.324 hopeful democratici, quelli che non solo ci stanno facendo un pensierino, ma lo vanno a dire in giro con tutta la convinzione di cui sono capaci, come se ci credessero veramente che tutti in questo mondo non aspettano altro che la loro candidatura. Capisco che tutti (quantomeno tutti i democratici) si sentano in dovere di sconfiggere Trump, ma questa auto-nomina a paladini del ritorno al futuro, a restauratori dell’ineluttabile processo democratico bruscamente interrottosi con la sciagurata elezione di Trump mi sembra denotare un approccio “donchisciottesco” – per non dire presuntuoso. In verità, un buon numero di costoro credo sia a malapena noto ai vicini di casa.



Senatori, onorevoli, governatori, sindaci presenti e passati, direttori di questo e di quest’altro e pure un ex vicepresidente, Joe Biden, che nonostante l’età – diciamo così – matura, per non finire subito in fuorigioco ha già dovuto esibirsi in un pubblico mea culpa, promettendo una pronta revisione del suo modo di relazionarsi alle rappresentanti del gentil sesso.



Avete presente un po’ di nomi di questi hopeful, di questi speranzosi? Kirsten Gillbrandt, Elizabeth Warren, Cory Booker, Amy Knobuchar, Kamala Harris, John Delaney, Beto O’Rourke, Steve Bullock, John Hickenlooper, Jay Inslee, Terry McAuliffe, Deval Patrick, Wayne Messam, Tim Ryan, Julian Castro, Tulsi Gabbard, Mike Gravel, Eric Swalwell, Marianne Williamson, Pete Buttigieg (37 anni), l’immarcescibile Bernie Sanders (78 anni), Andrew Young (un imprenditore) e pure Michael Bloomberg (che nella sua carriera di amministratore pubblico ha equamente distribuito la sua appartenenza partitica coprendo tutto l’arco costituzionale). E non sono neanche tutti!



Magari tra questa barcata di nomi si nasconde chi tra un anno e mezzo sarà il nuovo presidente, ma per il momento potremmo farci una squadra di baseball con tanto di riserve, massaggiatore e custode dello stadio. Se i 17 repubblicani del 2016 sembravano una mandria, questi cosa sono?

Ovviamente ci sarà un processo di selezione naturale che assottiglierà la formazione a mano a mano che la data di inizio ufficiale del “campionato” si avvicinerà. Vedremo chi tra tutti questi reggerà fino al 3 febbraio 2020, giorno in cui il lungo processo delle primarie prenderà il via con i Caucuses dell’Iowa. La battaglia vera sarà tra chi riuscirà ad avere il suo nome stampigliato su quelle schede.

Ma perché così tanti candidati? È un segno di grande apertura democratica o di una mancanza di direzione? Mettiamola così: piaccia o no, i repubblicani oggi una faccia, un’identità ce l’hanno. Quella di Trump. In altre parole, se decidi di votare repubblicano sai quello che compri.

Ma con i democratici come funziona? Tra i personaggi della squadra di baseball sopra elencati c’è veramente di tutto: guerrieri libertari, moderati social-democratici, persone equilibrate e di buon senso, cripto-comunisti e cripto-conservatori, omo ed eterosessuali, cattolici, protestanti, musulmani, ebrei, indù, miscredenti…

Il partito democratico deve fare le sue scelte di campo. Perché è vero che alle primarie a votare sarà la gente, ma è altrettanto vero che il potere della comunicazione – e quindi la capacità di influenzare se non addirittura dirigere il voto – è nelle mani del partito. Esattamente come lo fu nel 2016, quando il partito decise di puntare tutto su Hillary Clinton e gettare a mare Bernie Sanders. Scelta rivelatasi perdente.

E coloro che stanno raccontando al Paese che da grandi vogliono fare il presidente? Beh, un po’ di popolarità non ammazza nessuno. E poi, chissà, magari se si riesce ad approfittare della situazione per farsi piacere dalla gente con qualche uscita su giornali e reti televisive, una volta passate le elezioni si potrebbe pubblicare un libro, o entrare in un bel circuito di conferenzieri lautamente pagati, o addirittura vedersi offrire un posto di prestigio in una nuova Amministrazione.

Così vanno le cose. Speriamo che in tutto ciò sopravviva un briciolo di ideale.

God Bless America.