Prende il via questa mattina davanti all’Alta Corte di Londra il processo d’appello per l’estradizione del cofondatore di Wikileaks Julian Assange: dopo che lo scorso gennaio le autorità inglesi avevano, a sorpresa, negato l’estradizione del giornalista australiano verso gli Stati Uniti, ora sono proprio le autorità di Washington a tentare la carta del ricorso.
Sono previste due udienze – spiega l’Agenzia ANSA – oggi e domani, mentre il verdetto finale sulla estradizione o meno di Assange potrebbe arrivare in settimane, se non mesi: entro Natale, al massimo gennaio 2022, dovrebbe giungere la parola definitiva sul processo al cofondatore di Wikileaks. Attivisti da ogni parte di Londra si sono radunati davanti all’Alta Corte di Londra per protestare contro l’ennesimo giudizio legale in merito all’attività di Assange, affermando che il «giornalismo non è un crimine» e che «Assange non va estradato».
PROCESSO AD ASSANGE: COSA RISCHIA NEGLI USA
Julian Assange dopo aver passato 7 anni rinchiuso nell’ambasciata dell’Ecuador (dove aveva ottenuto asilo dopo lo scandalo mondiale di WikiLeaks) ormai da due anni vive nel carcere di massima sicurezza inglese di Belmarsh, detenuto in attesa di una decisione definitiva in merito alla richiesta di estradizione fatta dagli Stati Uniti. La richiesta degli attivisti e della difesa è che venga immediatamente liberato, visto che non viene estradato e con il Regno Unito non ha più alcuna pendenza penale. Assange se però fosse estradato, rischia una pena enorme fino a 175 anni negli Usa: è ricercato (e sotto la presidenza Trump, rivelano recenti documenti della CIA, l’ipotesi di farlo rapire dall’ambasciata ecuadoriana o peggio ancora assassinare era più che una possibilità) da oltre 10 anni dopo la quantità ingente di documenti segreti trafugati e diffusi fin dal 2010 da WikiLeaks. Crimini di guerra in Iraq e Afghanistan, file segreti del Pentagono e diversi altri documenti che negli Usa comportano pene appunto fino a 175 anni di reclusione per chi li ha rivelati al mondo, come Julian Assange. La giudice inglese del processo di primo grado, Vanessa Baraister, aveva negato l’estradizione, «pur rifiutando di accogliere le argomentazioni della difesa contro la legittimità di un’inchiesta denunciata da più parti come una vendetta politica e una minaccia alla libertà d’informazione, sulla base di una perizia medica che ipotizzava rischi di suicidio per Julian Assange: date le sue condizioni psico-fisiche e il trattamento giudiziario e carcerario al quale andrebbe incontro negli Stati Uniti», riporta ancora l’ANSA.