Il recente dibattito sull’automatismo della trascrizione anagrafica dei bambini nati da due mamme pone al centro dell’attenzione uno di quei valori primordiali, mai messo in discussione fino ad ora: il senso, il valore della maternità e la peculiarità di un legame, quello tra madre e figlio, da sempre punto di riferimento per ogni altro modello relazionale. Oggi però, nel caso di una coppia formata da due donne, che rivendicano il diritto ad essere considerate entrambe madri a parità di condizioni, siamo di fronte ad un modello tecnico-relazionale che pone nuovi problemi anche sul piano giuridico, problemi in gran parte inediti, almeno finora.



Dal dibattito emerge una volta di più la peculiarità della differenza uomo-donna, come fattore che non si può eliminare in nessun modo, per quanto molti “esperti” cerchino di affermare la cosiddetta fluidità di genere. Sesso e genere restano maschili e femminili, anche se le loro dinamiche si possono intrecciare e complicare per mille ragioni diverse, più di tipo culturale che non biologico.



I due termini, sesso e genere, non sono assimilabili l’uno all’altro e le differenze esistono in entrambi i contesti; il maschile e il femminile restano realtà diverse, di pari importanza, complementari, entrambe essenziali soprattutto quando si tratta di concepimento, di genitorialità. Ma non riducibili l’uno all’altro.

L’ambito, il contesto, in cui la diversità e la complementarietà si rivela con tutta la sua forza è soprattutto nell’evento nascita e prima ancora nel concepimento. L’ecologia umana comincia con questo primo appuntamento tra un uomo e una donna, o se si preferisce tra un oocita e uno spermatozoo, che niente e nessuno potranno mai sostituire. Certamente ridurre l’incontro tra due persone nella pienezza della loro consapevolezza reciproca, di un sentimento profondo che li unisce, all’incontro tra le due cellule germinali, come avviene con la Procreazione medicalmente assistita (Pma), è francamente riduttivo. Impoverisce l’umano che c’è in ognuno di noi, in una sorta di tecnocrazia di cui la regia è tenuta da un Esperto, estraneo alla vita della coppia, ma interprete dei loro desideri e quindi coessenziale all’evento del concepimento e all’assistenza fino alla nascita del bambino. La tecnologia interviene modificando la relazione tra le due persone, che dovrebbero essere i genitori del concepito, ma per quanto sia essenziale questo intervento non può in nessun modo sostituirsi ad uno di loro. Uomo e donna restano insostituibili.



Madre e padre sono però realtà – e non solo concetti! – ancora più complesse, che vanno oltre il fatto del concepimento e la nascita del bambino, includono una relazione di complementarietà tra di loro e tra loro e il figlio. La loro relazione a tre include il massimo delle diversità possibili: diversità di sesso, uomo-donna; diversità generazionale: genitori-figlio; diversità delle radici, della cultura, delle loro storie familiari. Una biodiversità che andrebbe tutelata come un bene prezioso anche alla luce dell’ecologia integrale che caratterizza attualmente la riflessione generale. Una diversità con un innegabile fondamento biologico che si è andata riaffermando fintanto che la tecnologia non si è impadronita delle leggi della natura, anche di quelle più vicine alla nostra biologia, stravolgendole, ma senza poter prescindere da loro.

Il dibattito relativo alla cosiddetta doppia maternità – madre biologica e madre intenzionale, nel caso delle coppie omosessuali formate da due donne – rilancia questi problemi, facendo leva soprattutto sul diritto del bambino ad essere accudito da due donne, diversamente madri, se le due donne sono legate da un vincolo affettivo ritenuto forte e significativo.

Al bambino, si dice, non può essere sottratto il legame di cura con la donna che di fatto se ne è presa cura fin dalla nascita, anche se non lo ha né concepito, né partorito. C’è perfino qualcuno che sostiene come in questi casi la madre intenzionale sia ancora più legata al rapporto con il bambino perché lo ha intensamente voluto, nonostante non lo abbia né concepito né partorito. La sua volontà supplirebbe agli aspetti biologici mancanti, come se il suo desiderio di maternità fosse più forte dello stesso legame naturale e appare del tutto assimilabile a quello che accade in un processo di adozione.

Per indebolire ulteriormente sia il legame biologico tra madre e figlio che la differenza tra la madre biologica e madre intenzionale, in alcuni casi si utilizza l’oocita di una delle due donne, facendolo fecondare da un donatore per lo più ignoto alla coppia, e successivamente impiantandolo nell’utero della seconda donna. In questo modo entrambe le donne si considerano madri biologiche, sia pure a diverso titolo, frantumando ulteriormente l’esperienza primordiale della maternità, che ha di per sé un forte carattere unitario.

Il bambino può essere intensamente amato e accudito da entrambe le donne, ovviamente, ma questo lo priva dell’esperienza personale della paternità e c’è il rischio che in un domani questo bambino possa chiedersi non solo “chi è mio padre”, ma anche “chi è mia madre”. Due donne che affrontano la maternità scomponendone le componenti biologiche in realtà separate, anche se concatenate, segnano un evidente primato della tecnica sulla natura e creano una ulteriore frammentazione nell’unità dell’esperienza relazionale madre-figlio.

Il voler essere madri, anche sul piano biologico, dello stesso figlio, segna dunque inevitabilmente il trionfo della tecnologia nel più intimo e viscerale dei rapporti: quello madre-figlio, a cui si attribuisce la massima importanza nello sviluppo successivo della personalità del bambino. Gli studi in tal senso hanno raggiunto un livello di grande profondità scientifica, sono andati evolvendo negli ultimi anni, assumendo sfumature diverse. Fanno della relazione primordiale del bambino con la madre il nodo centrale di ogni processo di sviluppo successivo. Per il bambino non è difficile inserire nella sua sfera affettiva altri soggetti, fratelli, sorelle, zii, nonni, ecc. ma ha bisogno di avere un forte carattere identitario nel suo rapporto con la madre, come figura unica e prioritaria. Come questo possa accadere con due mamme è difficile da immaginare.

La dimensione biologica non è mai esclusivamente biologica, se si pensa all’intimità della relazione con il bambino durante i nove mesi della gravidanza; ancor meno si può eludere la specificità del legame del bambino con la madre che lo allatta. Paradossalmente per lui può essere più facile amare serenamente le due donne se ne distingue meglio i ruoli e se gli si lascia il tempo di sviluppare una relazione di attaccamento sicuro con la madre biologica. Ed è per questo che una adozione successiva alla nascita può aiutare a fare chiarezza nella dinamica dei rapporti interpersonali, evitando la confusività delle figure materne e la frammentazione dell’esperienza affettiva originaria.

Sono difficoltà oggettivamente già esplorate dalle scienze umane, che ancora una volta corrono il rischio di essere sottovalutate rispetto alla tecnoscienza, che cerca di abbattere ogni volta di più i limiti imposti dalla natura, fino al punto di voler creare embrioni senza dover ricorrere ai due diversi contributi della madre e del padre. Esperimenti finora falliti, perché nessun esperimento ha permesso di aggirare la complessità biologica alla base del soggetto umano. Nel caso dell’utero in affitto inoltre assistiamo al paradosso che la figura materna appare prima moltiplicata: madre biologica, madre gestazionale, madre sociale, ecc. per poi scomparire del tutto nei mesi e negli anni successivi, con problemi relazionali che è possibile immaginare e a cui non si può sopperire neppure con tecnologie sempre più sofisticate.

Sul piano normativo è intervenuto anche Giuliano Amato, ex presidente della Corte costituzionale. In una recente intervista ha distinto con molta chiarezza il suo punto di vista personale rispetto a quanto finora affermato dalla legge e dalla Corte costituzionale: “Là dove non c’è maternità surrogata, nelle coppie omosessuali femminili, io non vedo ostacoli al riconoscimento della genitorialità piena anche della madre non biologica”. E, secondo lui, “l’accesso alla fecondazione eterologa andrebbe esteso anche alle coppie omosessuali, purché formate da due donne. Nel diritto potrebbero esserci due mamme”. Ha poi escluso la legittimità del ricorso all’utero in affitto per le coppie omosessuali maschili. Cosa attualmente proibita per legge in Italia: la famosa legge 40, che potrebbe essere rafforzata dalla legge, attualmente in discussione in Parlamento, in cui si parla di utero in affitto come reato universale.

Giuliano Amato ha sottolineato con grande chiarezza però che la Corte costituzionale non ha mai fatto affermazioni di questo tipo e in Italia vige una legge che autorizza l’eterologa solo per le coppie eterosessuali. In definitiva ha espresso un punto di vista personale, che per quanto autorevole, non ha nessun peso particolare. E in questo senso merita il rispetto dovuto ad un ex presidente della Consulta, senza che per questo si possano usare le sue affermazioni per aggirare le leggi esistenti. Per cambiare le cose occorrerebbe che il Parlamento facesse una nuova legge, per cui la responsabilità torna alla Camera e al Senato, anche in merito ad una semplificazione delle leggi sull’adozione.

Affermava Papa Francesco nell’udienza generale del 15 aprile 2015: “La cultura moderna e contemporanea ha aperto nuovi spazi, nuove libertà e nuove profondità per l’arricchimento della comprensione di questa differenza (tra uomo e donna, ndr). Ma ha introdotto anche molti dubbi e molto scetticismo. Per esempio, io mi domando, se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa. Sì, rischiamo di fare un passo indietro. La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione”.

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