In un recente articolo sul Sussidiario, Giuseppe Gagliano descriveva le guerre in corso in Africa, guerre già poco al centro dell’attenzione in passato e ora oscurate quasi del tutto dalla folle guerra in Ucraina. Accanto al Mali, al Burkina Faso e al Sudan del Sud, Gagliano citava l’Etiopia, dove durante la guerra con l’Eritrea e poi quella del governo centrale contro i ribelli del Tigrai, iniziata diciassette mesi fa, si sono verificate diffuse e gravi violazioni di diritti umani da tutte le parti in lotta.
Come detto in un precedente articolo, a fine marzo prima il governo federale poi il Fronte Popolare di Liberazione del Tigrai hanno decretato una tregua per consentire l’arrivo di aiuti umanitari. La situazione umanitaria è in effetti molto grave, soprattutto nel nord del Paese. La tregua ha generato speranza che i tentativi internazionali per raggiungere un accordo tra i contendenti, finora senza frutto, potessero raggiungere qualche risultato positivo. Secondo quanto riportato da Reuters, però, la tregua è stata messa a rischio dai recenti scontri nella regione di Afar, in parte occupata dai ribelli, con le milizie locali alleate del governo centrale.
Nel corso della guerra, tutti gli attori, l’esercito federale e i loro alleati, eritrei, milizie locali Afar e Amhara, da una parte, e i ribelli del Tigrai dall’altra, si sono macchiati di crimini di guerra, come uccisioni in massa di civili, distruzione di interi villaggi, stupri di moltissime donne, si parla di migliaia. Un anno fa il New York Times ha pubblicato un articolo in cui, sulla base di un documento interno del governo americano, nel Tigrai sarebbe in atto una vera e propria pulizia etnica condotta da militari eritrei, cosa poi confermata dal Segretario di Stato Antony Blinken, e gli Stati Uniti hanno applicato sanzioni al governo etiope, di cui gli eritrei sono alleati in questa guerra.
La situazione in Etiopia, come in altri Paesi, vedasi lo Yemen, sembra essere quindi altrettanto o ancor più grave rispetto a ciò che sta avvenendo in Ucraina, ma con un risvolto informativo, e senza dubbio mediatico, di molto inferiore. Ciò sta provocando accuse da varie parti e rilevante è la presa di posizione di Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms. Ghebreyesus è etiope, del Tigrai, e può essere quindi considerato parte in causa, ma la sua accusa va oltre la situazione del suo Paese. Infatti ha posto una domanda di fondo, come riporta il Guardian: “Il mondo dà realmente la stessa attenzione alle vite dei neri e dei bianchi?”, dato che l’attenzione a quanto succede in Etiopia, Yemen, Afghanistan e Siria è solo “una frazione” della preoccupazione per l’Ucraina.
Pur riconoscendo che la crisi in Ucraina ha un significato globale e non solo locale, Ghebreyesus aggiunge: “Devo essere netto e onesto sul fatto che il mondo non sta trattando la razza umana nello stesso modo. Qualcuno è più uguale degli altri”. Questa osservazione è difficilmente contestabile e si affianca alle altre critiche sulla ampia e generosa accoglienza dei profughi ucraini rispetto alle misure restrittive applicate a chi fugge da altre guerre fuori dall’Europa. È un pericoloso “effetto collaterale” della sciagurata guerra in Ucraina, che fa prevedere un futuro molto difficile, qualunque sia la sua conclusione. Bianchi contro neri: un Black Lives Matter globale.
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