L’invasione russa dell’Ucraina ha distolto l’attenzione dalle altre guerre, purtroppo numerose, che affliggono questa nostra epoca. Tra queste c’è la guerra che dilania l’Etiopia dal novembre del 2020, con la ribellione del Tigray contro il governo centrale di Addis Abeba. Una guerra che sta provocando molte vittime civili e una grave situazione umanitaria, come raccontato sul Sussidiario da Mussie Zerai, sacerdote eritreo che vive da parecchi anni in Italia occupandosi di migranti e di rifugiati politici dall’Eritrea e dall’Etiopia. Ora, però, in concomitanza con i lievi segnali almeno di un possibile rallentamento delle operazioni belliche in Ucraina, in Etiopia è stata proclamata da governo e forze ribelli una tregua.



Alla base di questa tregua vi è la disastrosa situazione umanitaria che si è venuta a creare nel Tigray a seguito della guerra, ma anche del blocco della regione voluto dal governo etiope, guidato da Abiy Ahmed, al quale è stato conferito nel 2019 il Nobel per la Pace. Anche dopo che il governo ha stabilito la tregua umanitaria, cui i ribelli hanno risposto con un cessate il fuoco, gli aiuti umanitari stentano ad arrivare per gli ostacoli posti dalle autorità locali. Sullo sfondo c’è la richiesta di un ritiro definitivo delle forze ribelli dalle zone occupate fuori dal Tigray nella loro avanzata verso Addis Abeba. C’è anche chi pensa che la tregua serva solo per riposizionare le truppe prima di una ripresa delle ostilità.



Secondo l’Onu, nel nord dell’Etiopia vi sono sette milioni di persone che hanno bisogno di aiuti umanitari e, nel Tigray, si stima vi siano cinque milioni in difficoltà gravi e 400mila persone ridotte alla fame. Anche la situazione sanitaria è gravissima e mancano quasi tutti i medicinali essenziali. A metà dello scorso anno, l’Onu stimava 1,7 milioni di rifugiati, di cui 60mila in Sudan, tra cui, come riporta ancora Mussie Zerai, cristiani che rischiano le persecuzioni delle milizie islamiche. Da entrambe le parti, poi, sono stati commessi numerosi crimini di guerra ripetutamente denunciati dagli osservatori delle Nazioni Unite.  



Particolare attenzione ha provocato, all’inizio di gennaio, un attacco aereo condotto dalle forze governative su un campo di rifugiati a Dedebit nel Tigray, con più di 50 morti e un centinaio di feriti. Sembrerebbe che l’attacco sia stato effettuato con droni di fabbricazione turca, gli stessi che la Turchia ha venduto all’Azerbaijan nella guerra contro l’Armenia per il Nagorno Karabakh e all’Ucraina. La notizia non è del tutto certa, ma la Bbc riporta notizia di altri attacchi aerei condotti dal governo etiope, di cui uno su una piazza di mercato, in cui potrebbero essere stati usati droni di produzione iraniana e cinese.

Sembra proprio un buon periodo per i produttori di armi e per chi, governi o privati, le vende.

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