Ettore Treglia, 50enne trovato morto nel 2021 a Torino, non fu ucciso dalla moglie, finita a processo con pesantissime accuse e assolta “perché il fatto non sussiste” nel luglio scorso. Poche ore fa sono emerse le motivazioni della sentenza che ha chiuso la vicenda giudiziaria a carico della vedova, sulla cui posizione, secondo quanto ricostruito da La Stampa, pesava un messaggio che la vittima avrebbe inviato all’amante prima di perdere la vita: “Se mi trovano morto, chiama la polizia, è stata mia moglie“. Secondo i giudici, la vittima sarebbe stata incline a “inventare, mentire, ingigantire la realtà” e il decesso sarebbe dovuto a cause naturali.
Ettore Treglia è stato trovato morto il 5 aprile 2021 nella sua abitazione e aveva puntato il dito contro la moglie con messaggi inviati all’amante prima della tragedia. L’assoluzione in Corte d’Assise, riporta ancora il quotidiano, sarebbe trainata da “un principio di civiltà, prima ancora che di diritto” davanti a dubbi di proporzioni tali da rendere impossibile una condanna. Non è emersa alcuna prova di un omicidio. Ettore Treglia, come ricostruito, sarebbe stato affetto da un tumore e risultava dipendente dall’alcol. Per i giudici, l’ipotesi di “un decesso determinato da patologie pregresse o intossicazione” è più credibile dell’ipotesi di un delitto.
La vedova di Ettore Treglia assolta, ha sempre dichiarato la sua innocenza: “Non ho ucciso mio marito”
La vedova di Ettore Treglia, difesa dagli avvocati Alberto De Sanctis e Fosca Grosso, ha sempre dichiarato la sua innocenza ribadendoc con forza di non aver ucciso il marito. Secondo la versione della donna, assolta nel processo che si era aperto a suo carico, la coppia avrebbe litigato prima che lei andasse a letto: “Lui pretendeva un rapporto sessuale e io l’ho respinto. Quando sono andata a dormire era ancora vivo“.
La Corte d’Asssise avrebbe ricalcato i contorni di una vita, quella di Ettore Treglia, immersa in un “contesto di continue mistificazioni, falsità e palesi esagerazioni“: l’uomo avrebbe raccontato bugie su bugie, anche in quei messaggi inviati all’amante prima di morire. Proprio per questo, i giudici avrebbero riconosciuto che il susseguirsi di contraddizioni e falsità nelle parole del 50enne avrebbe fatto perdere “ogni tipo di credibilità” alle accuse mosse contro la moglie: i messaggi con cui l’uomo avrebbe puntato il dito sulla consorte, sostenendo addirittura di subire percosse in alcuni WhatsApp all’amante, apparsi “a prima vista molto significativi o quantomeno fortemente sospetti“, si sarebbero rivelati privi di fondamento.