Il racconto della vita di un uomo non trova sufficiente spazio per esaurirsi. La figura di Eugenio Borgna, psichiatra di lunga fama spentosi all’età di 94 anni, aggrava ulteriormente questa constatazione e implica di poterlo in qualche modo ricordare con righe che si accontentino di esprimerne un aspetto di lui che possa dirsi significativo. Tale aspetto certamente riguarda il rapporto che Borgna ha intessuto attraverso gli anni con i malati mentali. È spesso ricordato dalle cronache nazionali come uno dei più accesi sostenitori della legge Basaglia, che liquidò i manicomi, ed è altrettanto spesso raccontato come uomo integerrimo che per primo adottò, nella realtà di Novara dove si trovò ad assumersi precise responsabilità di indirizzo di una struttura che successivamente divenne reparto, misure di una nuova umanità che implicarono – tra le altre – l’abolizione delle sbarre, l’apertura delle porte, il contatto dei pazienti con l’arte e la cultura. Tutto questo porta ad una domanda molto semplice, eppure dirimente: perché? Per quale motivo Borgna scelse questa strada e che eredità è possibile reperire in tale scelta?
La risposta è, allo stesso tempo, semplice e complessa: Borgna non si rapportava alle malattie mentali, ma ai malati. Egli non aveva l’idea di essere il sano che cura chi non sta bene, ma il fratello che incontra il fratello. La fede di Borgna fu rivoluzionaria in campo psichiatrico come quella di san Paolo lo fu in campo sociale: ad Onesimo che fuggiva dal padrone Filemone, credendo che il cristianesimo fosse un affrancamento sociale dalla schiavitù, Paolo dice di tornare indietro e scrive a Filemone di considerare lo schiavo che rientrava all’ovile non come un disertore da uccidere, bensì come un fratello da accogliere.
Negli occhi del malato Borgna intuiva una storia e un racconto da ascoltare e incontrare. Dio, che spesso era definito dallo psichiatra come “l’indicibile silenzio”, entrava nella storia attraverso la carne: ogni carne, pertanto, era parola di Dio, mistero che interpellava il mistero. La nostra società attribuisce alle malattie mentali uno stigma che nasce dalla presunzione che esista uno stato di salute che permetta di distinguere gli esseri umani tra sani e malati, mentre invece nessun uomo è mai fino in fondo sano e ogni uomo – davanti al patologico – può trovare nell’altro una strada per la propria guarigione, offrendo a chi soffre per i sintomi di malattie a volte indicibili un aiuto per continuare il cammino.
Borgna ha scommesso tutta la sua professionalità sul segreto che ogni uomo si porta nel cuore, non ha ridotto l’umano alle sue caratteristiche sanitarie o alle sue infermità mentali, ma lo ha scrutato curioso, tendendo costantemente la mano alle vite che aveva davanti, studiando e sperimentando. Nella piena consapevolezza che solo uno sguardo umano restaura l’umano nell’altro che incontriamo.
È chiaro, come già accennato, che un simile approccio non può essere il semplice risultato di una tecnica o di una brillante strategia appresa da un libro: la forza di Borgna sta in una fede che in lui è diventata cultura, ossia sguardo, sulla realtà. L’incontro con alcuni studenti di Comunione e Liberazione, avvicinati in qualità di tirocinanti, aprì allo psichiatra già affermato la strada per l’amicizia con don Giussani dal quale rimase travolto e interrogato. Non ritenne mai la sua conoscenza una fonte legittima di arroganza o di presunzione, ma interpretò il proprio sapere come una necessità radicale di continua ricerca e conversione.
L’eredità di Borgna non è tanto quella di un luminare della scienza, quanto di un amico profondo del mistero di Dio che – in definitiva – coincide con un’amicizia profonda col mistero dell’uomo, con le domande che chiunque si porta appresso e che urgono dentro al cuore di ognuno di noi. Con Borgna scompare un testimone di un atteggiamento davanti alla realtà. Un atteggiamento di cui tutti hanno bisogno per comprendere che in quello che siamo si rivela il luogo dove abitiamo, il luogo dove il nostro cuore dimora e dove, pertanto, Dio ci può dare appuntamento. Per sanarci e abbracciarci. Per guarirci e continuamente rimetterci al mondo.
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