Il 21 gennaio 1921 è una data davvero particolare per il comunismo: nacque in Italia in quel giorno il Partito Comunista Italiano grazie alla famosa “scissione di Livorno”, ma qualche centinaio di chilometri più in là a Besana Brianza veniva al mondo il piccolo Eugenio Corti, forse uno dei più grandi scrittori della storia recente italiana. Dalle preziose testimonianze dirette nella tremenda Campagna di Russia durante la Seconda Guerra Mondiale alle grandi opere letterarie che lo avvicinano – per stile e contenuti – ai grandissimi romanzieri russi Dostoevskij e Tolstoi.
Una capacità unica nello scrivere e nel rappresentare in maniera “corale” la realtà circostante tra vita sociale, umana e politica nel “Secolo Breve” per eccellenza, il Novecento. Oggi avrebbe 100 anni Eugenio Corti, esattamente come quel Partito che contribuì a “scardinare” e “smascherare”, quantomeno nei rapporti poco limpidi con la Russia Sovietica di cui lui fu diretto testimone: “Il cavallo rosso” fu la sua opera più importante, scritta per 11 anni dal 1972 fino al 1983. Un capolavoro col quale consegna in mille pagine quasi tutta la storia del Novecento, dalla Guerra fino alle diatribe moderne sulle ceneri delle nefaste ideologie del passato: Nazismo e Comunismo, con in mezzo la Chiesa e le sue crisi interne che da sola ha tentato di opporsi alla follia omicida e ideologica del Ventesimo secolo.
EUGENIO CORTI, IL TESTIMONE CONTRO IL COMUNISMO
Corti era un tipo schietto, poco simpatico ai più, ma fervente cattolico con lo sguardo critico e pronto a testimoniare tutta la sua “debolezza” per la Gloria del Signore. Premiato con la Medaglia d’oro per Cultura e Arte dal Presidente – ironia del destino – di estrazione comunista, Giorgio Napolitano nel 2013 ma anche autore di altre pagine memorabili nella storia letteraria come “Processo e morte di Stalin”, “L’isola del paradiso” “Vita e pensiero” e “Catone l’antico”. «La Provvidenza ha dei disegni speciali su di me», annotava Corti in data 21 gennaio 1941 durante la Campagna in Russia, pensando che avrebbe dovuto tornare e raccontare gli orrori visti con un occhio e una scrittura non “banale”.
«Ringrazio immensamente il Signore: ha guardato non a me e alla mia miseria, ma alle preghiere dei miei; e mi ha salvato tutto», lo scriveva nel maggio del ’45 quando la guerra stava finendo e quando i documenti e i ricordi si stavano ordinando per produrre poi 40 anni dopo il capolavoro del “Cavallo Rosso”. Per Eugenio Corti il comunismo – così come era avvenuto con il Nazifascismo tra gli Anni Trenta e Quaranta – era il vertice del fallimentare processo di secolarizzazione: «solo morte, odio e distruzione. Urge il ritorno alla “città di Dio”», amava ripetere. Eugenio Corti è morto il 4 febbraio 2014, a 93 anni compiuti mentre stava lavorando ancora alla revisione del saggio “Il fumo nel tempio”, una sorta di raccolta dei fatti più importanti nella Chiesa Cattolica dal 1970 fino ad oggi.