L’arrivo dell’Euro 7 rinviato per almeno due anni per le auto, mentre per quanto riguarda i mezzi pesanti la scadenza è spostata in avanti di quattro. Una decisione, quella del Parlamento europeo, che dovrà essere ancora esaminata nell’ambito del trilogo (quindi insieme al Consiglio e alla Commissione europea) ma che prevede l’allungamento dei tempi previsti per l’entrata in vigore della norma, prima fissati rispettivamente al 2025 e al 2027. Il nuovo regolamento al varo in sede europea cambierà i limiti per le emissioni degli scarichi dei veicoli (ossidi di azoto, particolato, monossido di carbonio e ammoniaca) e avrà come obiettivo quello di ridurre le emissioni dei pneumatici e dei freni, aumentando la durata della batteria.



Ma quello che più conta, spiega Pierluigi Bonora, giornalista de Il Giornale ed esperto del settore automobilistico, è che questo nuovo indirizzo potrebbe essere il “cavallo di Troia” attraverso il quale far passare, magari con la nuova Commissione europea che uscirà dalle elezioni dell’anno prossimo, un cambio di rotta rispetto al piano che entro il 2035 prevede di produrre solo auto elettriche, in relazione al quale, per il momento, viene concessa un’unica deroga a favore dei combustibili sintetici. La decisione sull’Euro 7 dal punto di vista politico significa anche la rottura della maggioranza Ursula, quella di centrosinistra che regge attualmente la Ue, per aprire la strada a una di centrodestra.



Qual è l’importanza della decisione del Parlamento europeo sull’Euro 7?

Questo rinvio, per il quale è stata determinante la pressione italiana insieme ad altri Paesi europei, potrebbe preludere a un cambiamento in futuro della normativa sulle auto elettriche. Le elezioni europee sono imminenti, fra meno di un anno. Con una nuova maggioranza a Bruxelles potrebbero cambiare tante cose. In questo contesto questo provvedimento lo vedo un po’ inutile: i motori Euro 6 di ultima generazione hanno abbattuto notevolmente le emissioni rispetto agli Euro zero: siamo al 98%. Adottare queste nuove norme comporterebbe costi ulteriori che graverebbero sulle case automobilistiche.



Cosa potrebbe cambiare di preciso con un nuovo indirizzo politico nella Commissione europea?

Per me cambierebbe tutto, lo ha detto anche il ministro Adolfo Urso nel commentare quello che è successo: a Bruxelles si è formata una nuova maggioranza che prelude a uno scenario nuovo, che potrebbe comprendere tutte le alimentazioni virtuose, vale a dire, oltre all’elettrico, i biocarburanti e gli e-fuels, con l’obiettivo finale di arrivare all’idrogeno. Uno scenario in piena evoluzione rispetto a quello delineato in questi anni dal vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans.

Quella sull’Euro 7, insomma, non è una decisione di poco conto; può avere ripercussioni più importanti di quanto non comporti in sé la decisione stessa?

È un segnale forte di cambio di orientamento: stanno riconoscendo che il palinsesto messo insieme in modo improvvisato che prevede l’elettrico dal 2035 è puramente ideologico e dogmatico. È un piano che non sta in piedi, lo dicono gli stessi manager delle case automobilistiche che poi in conferenza stampa esaltano le leggi europee perché sono obbligati a farlo dai loro quartier generali. Non ci crede nessuno.

I manager dei grandi produttori, quindi, fanno buon viso a cattivo gioco, ma in realtà non vedono di buon occhio il diktat dell’auto elettrica dal 2035? C’è una narrazione ufficiale e una, invece, informale che è più vicina a quello che pensano?

Sì, certo. Ci sono alcuni manager che presi in privato sostengono che questo piano è difficile, forzato. Hanno forti dubbi. Dicono una cosa ma ne pensano un’altra oppure cambiano lo scenario. Comunque sono convinto che tutte le aziende abbiano un piano B.

Il piano B sarebbe quello che prevede la neutralità tecnologica, la possibilità di diminuire le emissioni ricorrendo però anche ad altre soluzioni rispetto all’elettrico?

Un piano B che poi diventerà il piano A. È il mercato che decide. In Germania, ad esempio, a settembre si è registrato un -28,6% di auto elettriche, perché hanno tolto degli incentivi. Dal 1 gennaio ci sarà un ridimensionamento consistente dei contributi statali. Si va verso una riduzione degli incentivi per i privati. Vedremo dai dati di ottobre se questo calo verrà confermato. In Svizzera, sempre a partire dal 2024, la Confederazione reintrodurrà la tassazione del 4% sulle auto elettriche che erano esentasse a partire dal 1997.

Anche per questo c’è la possibilità di uno sviluppo delle alternative ecologiche all’elettrico?

Ci sono i biocarburanti: in questo campo l’Italia è all’avanguardia. Non sto facendo un discorso contrario all’elettrico, dico semplicemente che deve essere adottato insieme alle altre soluzioni disponibili. Saranno sviluppati anche i carburanti sintetici, chi vorrà potrà acquistare vetture all’idrogeno. La soluzione migliore è la macchina ibrida, quella senza spina, benzina o diesel ed elettrico, infatti le vendite vanno bene.

Ma questi cambi di rotta da parte del legislatore europeo e le incertezze del mercato che ripercussioni possono avere sulle aziende continentali del settore?

Le aziende sono state un po’ autolesioniste, hanno accettato passivamente la linea della Commissione europea per accorgersi solo a posteriori di tutti i problemi collaterali che ci sono. È facile dire: “Facciamo l’auto elettrica dopodomani”. Poi arriva il Covid, la crisi energetica, la guerra, ti accorgi che i cinesi hanno in mano tutte le materie prime e si entra in difficoltà. Hanno la grossa responsabilità di aver accettato passivamente e maldestramente certe imposizioni.

(Paolo Rossetti)

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