Il calo dell’euro nei confronti del dollaro sta proseguendo e nella giornata di ieri c’è stato anche un passaggio sotto la parità prima di ritorno sopra quota 1. Secondo Mario Deaglio, professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, «non c’è una sola spiegazione dietro l’andamento della moneta unica sui mercati valutari. Sicuramente esso deriva dalla maggiore determinazione della Fed rispetto alla Bce ad alzare i tassi. Coloro che hanno dei titoli a reddito fisso in euro, quindi, li vendono per spostare i capitali negli Stati Uniti dove possono ottenere un rendimento superiore».
Vi sono altri possibili spiegazioni per l’andamento dell’euro?
Una possibilità è che si giudichi più vulnerabile l’economia europea alle conseguenze del conflitto in Ucraina, soprattutto a causa di uno stop o di un rallentamento, come si sta verificando in questi giorni, delle forniture di gas dalla Russia. In una situazione del genere, è chiaro che i Pnrr sono a rischio, perché rischiano di esserci altre priorità. Un’altra possibile spiegazione ha a che fare con una valutazione sostanzialmente negativa sulla politica europea.
Non che negli Stati Uniti la situazione politica sia idilliaca…
No, ma i tedeschi è come se non ci fossero, visti dall’esterno sembrano un po’ bloccati, senza una strategia chiara anche a livello energetico. In Francia Macron non ha la maggioranza in Parlamento. In Italia abbiamo una situazione in parte simile e anche se nessuno vuol far cadere il Governo c’è comunque una sorta di stallo. Non che gli americani stiano bene, ma sui mercati finanziari il dollaro continua a essere predominante e quindi si preferisce il biglietto verde alla moneta unica europea.
Alla vigilia del Consiglio direttivo del 21 luglio, questo calo dell’euro, che alla lunga si può tradurre anche in una maggior inflazione importata, può incidere sulle decisioni della Bce?
Se da un lato c’è l’inflazione importata, che va messa sotto controllo in qualche modo, dall’altro un euro debole favorisce le esportazioni. Se ci fosse, quindi, una debolezza della domanda interna, una parte potrebbe essere compensata dal fatto che americani e cinesi hanno più interesse ad acquistare merci europei rispetto a qualche settimana fa. La situazione è molto incerta e credo che nessuno abbia una visione completa. Sono appena tornato dal forum economico di Aix-en-Provence, ho sentito gli interventi Christine Lagarde, Elisabeth Borne, Bruno Le Maire: la Presidente della Bce, da politica quale è, ha scrupolosamente evitato di parlare di questi temi, dedicando il suo discorso ai problemi di lungo termine.
Si può mettere sotto controllo l’inflazione importata?
Sì e no, perché è alimentata principalmente dai prezzi dell’energia. Quindi, in Europa possiamo anche studiare e imporre un prezzo a questo tipo di beni, ma bisogna poi vedere se come contropartita non otteniamo una riduzione delle loro quantità che rischia di portare poi al razionamento.
Non è detto quindi che un tetto al prezzo del gas funzioni…
Esattamente. L’Italia è in una situazione al momento non grave, perché non dipende dal Nord Stream, le riserve sono a un discreto livello. Nel medio lungo termine ci sono prospettive non negative, sia per la possibilità di installare rigassificatori galleggianti o navi che diventano rigassificatori, sia per le capacità, non solo tecniche, che ha Eni di esplorare e gestire l’estrazione di gas che potrebbe rivelarsi utile nel Mediterraneo orientale, una zona molto ricca di idrocarburi.
Il problema semmai riguarda il breve periodo.
Sì. E c’è da sperare che la situazione in Libia resti sotto controllo e che sia servito anche a questo il recente incontro tra Draghi ed Erdogan. Ricordiamoci però che siamo un Paese con un’economia molto versatile, che riesce a cambiare tipo di produzione in tempi minori degli altri. Da un lato, ci fa paura la frenata della Germania, visto che siamo fornitori dell’industria tedesca, ma noi siamo capaci di fare di tutto, dai macchinari al vino, ed avendo una struttura largamente di piccole imprese, i tempi delle decisioni sono molto brevi. Nei tanti anni che sono andato a presentare il mio rapporto annuale sull’economia globale in diverse zone d’Italia ho visto e incontrato molti imprenditori e ho avvertito proprio questa atmosfera che non credo ci sia altrove, dove le strutture delle imprese sono un po’ più rigide e ingessate. Abbiamo una maggiore flessibilità e capacità di risposta ai cambiamenti.
Dunque è anche per questa situazione, e per la minor dipendenza dal Nord Stream, che in Italia, a differenza che in Germania e Francia, c’è un minor allarme sulle forniture di gas russo?
È così, ma per essere realmente tranquilli avremmo bisogno di essere arrivati già a un riempimento dell’80% delle riserve di gas. Le cose quest’anno sono state forse un po’ complicate sia dalla siccità che ha frenato le centrali idroelettriche che dal caldo anomalo che ha fatto consumare più elettricità per i condizionatori. Nel frattempo abbiamo di fronte un periodo economicamente positivo, perlomeno fino a metà settembre. Bisognerà vedere come tutti i soldi incassati dall’erario, in questi mesi buoni per l’economia, verranno spesi. E ciò dipenderà anche dalla situazione in cui si troverà il Governo. Dubito si possa arrivare a elezioni in autunno, sia per i tempi tecnici necessari a preparare le consultazioni, sia perché non va dimenticato che bisogna approvare la Legge di bilancio entro il 31 dicembre per scongiurare l’esercizio provvisorio.
A parte questo, la scelta migliore per utilizzare le risorse sarebbe il taglio del cuneo fiscale come ci aveva detto nella precedente intervista…
Sì. Bisognerebbe anche fare in modo che la misura non sia finanziata solo con l’extragettito fiscale. Credo che bisognerebbe creare un nuovo fondo europeo, sul modello dello Sure, finalizzato agli interventi per far fronte ai rincari dei beni energetici e alimentari, finanziato tramite una digital tax o una web tax europea.
In Europa ci può essere una risposta comune alla crisi energetica quando singoli Paesi, vedi Francia e Germania, intervengono senza aspettare Bruxelles?
Direi di sì. La dimensione europea, anche per la storia che abbiamo avuto, è un intreccio tra Stato e mercato. Si potrà quindi trovare un accordo per agire tutti nello stesso modo. La direzione in cui stiamo andando è quella di individuare obiettivi di medio lungo periodo comunicando alle imprese di collocarsi all’interno di questa traiettoria, dando loro anche gli strumenti per agire. Il concetto dovrebbe essere questo, un po’ come visto in tema di emissioni di gas serra.
(Lorenzo Torrisi)
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