La scorsa settimana è stata intensa a livello di notizie sul fronte europeo, non solo per il summit, cui ha preso parte anche il Presidente americano Biden, relativo ai vaccini, ma anche per le parole di Mario Draghi tese a rilanciare il progetto degli eurobond e al quasi contestuale stop arrivato dalla Corte Costituzionale tedesca alla ratifica del Recovery fund che aveva già ricevuto il via libera di Bundesrat e Bundestag. In attesa della pronuncia dei giudici di Karlsruhe, l’arrivo dei primi fondi europei, su cui peraltro l’Italia conta molto, potrebbe subire ritardi. Come ricorda Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, «non è la prima volta che la Corte Costituzionale tedesca interviene, di fatto, sulle politiche economiche europee e Berlino saprà ancora una volta sfruttare abilmente questa situazione».
Sarà stata una coincidenza, ma colpisce non poco la quasi contemporaneità tra le parole di Draghi sugli eurobond e l’intervento della Corte Costituzionale tedesca sul processo di ratifica del Recovery fund…
Io trovo che le dichiarazioni di Draghi siano un tentativo di ribaltare l’approccio del Next Generation Eu dagli Stati membri all’Ue. Come sappiamo, lo strumento messo a punto da Bruxelles prevede che gli Stati membri formulino dei piani di investimento, ma anche e soprattutto che indichino quali sono le riforme abilitanti che intendono adottare per amplificare l’efficacia di questi investimenti. Dalle dichiarazioni di Draghi emerge l’intento di ribaltare specularmente questo approccio sull’Unione europea, suggerendole un’agenda di lavoro.
In che senso?
Di cominciare a vedere quali sono le riforme dell’Ue che possano contribuire a renderla più funzionale rispetto alle esigenze degli Stati membri che la compongono. Parallelamente si è mossa la Corte Costituzionale tedesca, che negli ultimi anni ha mostrato un iper attivismo sul fronte della politica economica europea. Basti pensare alla sentenza sulle politiche monetarie non convenzionali che Draghi, allora Presidente della Bce, propose nel 2015. C’è quindi la conferma di un trend per cui la Corte di Karlsruhe entra sistematicamente nelle questioni europee e della presenza in Germania di un dibattito sulle politiche Ue, alla fine del quale si riesce a produrre una sintesi tra protezione dell’interesse nazionale tedesco e iniziative comunitarie sempre funzionali a quell’interesse.
Lo sottolinea perché non vede la stessa cosa in Italia?
La mia percezione, da economista che ha vissuto molti anni all’estero, è che ogni volta che si provi a sottolineare l’esigenza per l’Italia di valorizzare il suo rapporto di forza con gli alleati europei questo viene rappresentato in modo pregiudiziale e incompleto come un atteggiamento da stigmatizzare. Contemporaneamente vediamo che nei grandi Paesi che plasmano le politiche europee, Francia e Germania, c’è un dibattito molto articolato al termine del quale la politica è finora riuscita a produrre una sintesi capace di coniugare le esigenze di questi Paesi e delle loro economie con una prospettiva più ampia europea. In sostanza, la politica è riuscita a trovare una composizione di istanze apparentemente diverse, quasi antagonistiche, generalmente efficace.
Prima ha detto che Draghi, parlando degli eurobond, ha ribaltato lo schema del Next Generation Eu sull’Europa. Lo ha fatto intenzionalmente?
Credo che Draghi stia mostrando un europeismo pragmatico, difficile da collocare ideologicamente. Da capo di governo sui dossier europei si sta muovendo in modo tecnicamente opportunistico nel momento in cui vede i limiti dell’azione comunitaria. Nel momento in cui l’Ue chiede agli Stati membri di fare delle riforme, sta cercando di creare l’opportunità per stimolare un dibattito analogo anche sull’Ue. In altre parole, poiché l’Ue è composta dagli Stati membri, il Premier italiano sta cercando di dire a quest’ultimi di fare pressione su Bruxelles perché l’Ue si riformi, creando così un movimento che getti le premesse di una spinta riformistica in senso più ampio.
Quali possono essere le conseguenze di questi due fatti, ovvero la decisione della Corte costituzionale tedesca e le parole di Draghi?
I policy maker tedeschi hanno sempre sfruttato abilmente la presunta minaccia della Corte Costituzionale tedesca rispetto al loro ambito di manovra, aumentando la loro forza di impatto sulle politiche comunitarie. È vero che la Germania è la prima economia europea, quella più solida, con il rating più elevato, ma avere questo credibile condizionamento interno ha un effetto leva ulteriore sulla sua capacità di influenzare le decisioni europee. Anche questa volta non sarà diverso: verrà data ulteriore trazione alla capacità di Berlino di influenzare le posizioni europee anche in corso d’opera proprio invocando lo spauracchio della Corte Costituzionale.
E per quanto riguarda gli eurobond? Finora le proposte in merito sono cadute di fatto nel vuoto…
Non credo ci siano ancora le condizioni per poter pensare a un bilancio comunitario rilevante che giustifichi sul piano funzionale la creazione degli eurobond. È vero che le emissioni che dovrà fare la Commissione europea per alimentare il Recovery fund rappresentano una sorta di prototipo di eurobond, ma non dobbiamo dimenticare che le resistenze dei Paesi del nord rispetto a questo strumento sono state superate solo per via dell’impatto della pandemia, che è stato devastante per tutta l’economia europea. E la reazione che c’è stata anche ora a proposito del ricorso alla Corrte tedesca è illuminante sulle ritrosie verso l’adozione di un vero bilancio comunitario permanente.
Da che punto di vista è illuminante?
Coloro che hanno presentato ricorso alla Corte Costituzionale sulla ratifica del Recovery fund di fatto temono che nel caso di default di qualche Paese membro dell’Ue, l’onere possa ricadere anche sui contribuenti tedeschi. Una volta dissipatisi gli effetti più devastanti della pandemia credo che questa posizione diventerà ancora più forte. Una certa influenza sul dibattito lo avrà anche il modo con cui gli Stati membri gestiranno le risorse del Next Generation Eu: se verranno usate per creare effettivamente crescita e sviluppo, e quindi riequilibrare il rapporto debito/Pil di quelle economie dove è più squilibrato, ne trarranno vantaggio quanti sono a favore di un bilancio comunitario più ampio e quindi dell’emissione degli eurobond. Il rischio, tuttavia, è che la reimposizione di restrizioni alle politiche fiscali per il tramite del Patto di stabilità possano limitare la capacità di alcuni Paesi come l’Italia di fruire appieno dell’impatto di quelle risorse. Se ci saranno Paesi che non saranno in grado di raggiungere gli obiettivi indicati, la posizione di quanti nel Nord si oppongono agli eurobond ne uscirà rafforzata. D’altro canto, un bilancio comunitario significativo comporterebbe verosimilmente ulteriori restrizioni sulla formulazione e composizione delle politiche economiche nazionali che occorrerebbe valutare con attenzione a prescindere dalla “latidudine” politica di ciascuno.
Draghi saprà bene tutte queste cose. Perché allora ha riproposto proprio ora gli eurobond?
Come Presidente della Bce ha già portato all’attenzione questo tema e ora lo sta ribadendo come presidente del Consiglio italiano, come del resto ha fatto riguardo il ruolo internazionale dell’euro. Credo che in Italia, tuttavia, al di là di quelle che devono essere le riforme europee, non dobbiamo dimenticarci dei problemi di casa nostra che stanno crescendo ulteriormente per dimensione e gravità. A differenza di altri Paesi, non abbiamo risorse per ristori significativi e di massa: quello che non si riesce a fare in termini di ristori va fatto in termini di rimessa in moto dell’economia nel più breve tempo possibile.
In che modo?
Abbiamo una dicotomia crescente tra una parte dell’economia che è protetta e un’altra che nemmeno con l’ultimo Decreto sostegni ha ricevuto alcuna tutela significativa. Sta crescendo l’asimmetria tra questi due comparti dell’economia. Il problema è che quello meno protetto è proprio quello che genera la ricchezza che sostiene anche quello più tutelato. È quindi interesse di tutti cercare di concentrare gli sforzi nel rimettere in moto il settore delle imprese e delle microimprese che poi genera ricchezza per tutti. Su questo fronte l’esecutivo precedente è stato poco attivo, con lacune vistose nei suoi interventi. L’auspicio è che il Governo Draghi possa essere più attento. Occorre pianificare riaperture stabili delle attività, perché lo stop-and-go genera più danni della chiusura. E intensificare la campagna vaccinale per crearsi da soli un effetto slancio dovuto alle aspettative di un ritorno alla normalità. Ultimo, ma non minimo, velocizzare l’erogazione dei sostegni a prescindere da qualsiasi considerazione di merito sulla loro entità.
(Lorenzo Torrisi)
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