Domenica Yanis Varoufakis ha annunciato la pubblicazione delle registrazioni fatte durante le riunioni dell’Eurogruppo nel 2015 quando si cercava di “risolvere” la crisi greca. L’ex ministro delle Finanze di Atene ha spiegato la decisione alla luce delle nuove misure di “austerity”, in particolare quelle sui mutui in sofferenza e le norme sugli espropri, che le forze politiche greche giustificano con la sua irresponsabilità e il suo atteggiamento nei confronti dei partner europei proprio durante la crisi del 2015. Varoufakis si aspetta una serie di effetti dalla pubblicazione: 1) che gli europeisti capiscano come l’euroscetticismo sia stato aiutato dal processo decisionale nel cuore dell’Unione europea; 2) gli euroscettici troveranno le prove che il loro atteggiamento è giustificato; 3) studenti di relazioni internazionali, studi europei, di finanza e economica troveranno preziosi elementi su come vengono prese decisioni cruciali per l’economia globale; 4) dato che la democrazia è impossibile senza trasparenza, la pubblicazione sarà un piccolo ma non insignificante servizio ai democratici.
Il caso “greco” è diventato con il passare degli anni un esempio di quello che non si deve fare per risolvere una crisi. Gli “errori” sul calcolo dei coefficienti e le conseguenze che si sono manifestate per l’economia greca, con una contrazione del Pil di molto superiore a quella delle attese, hanno portato a una lunga teoria di ammissioni di colpe. Nella letteratura che si trova su questa fase sui “mercati” e “tra gli investitori” si è consolidata l’idea che l’Unione europea abbia dato il peggio di sé sostanzialmente per salvare le banche tedesche e francesi e per salvaguardare il modello economico dell’euro in cui, nell’impossibilità di qualsiasi elemento di flessibilità, tutto si risolve con austerity, svalutazione del cambio ed esportazioni; in un meccanismo che, per gli squilibri dell’euro, tra l’altro determina che i vantaggi e gli svantaggi vengano ripartiti senza equità tra creditori e debitori. Tra la metà del 2014 e l’inizio del 2015, alla faccia che le svalutazioni fanno male o dell’euro valuta “responsabile”, l’euro si è svalutato del 35% in sei mesi, come una lira qualsiasi.
Mettere nel ventilatore il fango delle riunioni del 2015 non consegnerà agli spettatori un grande spettacolo e, presumibilmente, proverà che era tutto prevedibile. La “narrazione” sulla Grecia uscita dalla crisi è insostenibile dato che l’economia greca è distrutta, le condizioni di vita infinitamente peggiori, gli asset di pregio venduti e svenduti e in più il controllo degli “amici” europei è ancora più stretto mentre il debito è di gran lunga più alto. I debitori greci, per quanto colpevoli, non potranno mai ripagare i debiti contratti nello schema attuale; nemmeno con il passare delle generazioni. Pensate solo a cosa succederebbe se arrivasse un’altra crisi. Infatti, siamo arrivati all’esproprio delle prime case. Poi, non sappiamo, forse i primi figli maschi magari per l’esercito europeo. Questo è il quadro. Ai greci sarebbero convenute altre soluzioni nel 2015 e in particolare una che però non conveniva ai creditori.
È interessante che tutto questo accada a qualche mese dalla Brexit, in una fase in cui i governi traballanti di molti Paesi europei tentano di blindare l’euro certificando vincitori e vinti con una serie di riforme approvate nei soliti modi; a partire dal Mes. la cui ratifica è prevista per metà marzo e cioè appena una settimana dopo la pubblicazione delle registrazioni di Varoufakis. Rimane la grande questione del processo di “integrazione” europea in una fase in cui tutti i limiti e le rigidità del suo modello sono messi a nudo dal cambiamento, in peggio, del contesto esterno. Possiamo certamente continuare a convincerci che l’Unione europea sia il migliore dei mondi possibili perché “gli inglesi staranno in coda ai controlli”, ma le contraddizioni dell’Unione e dei suoi rapporti di forza purtroppo continuano a essere molto reali. Esattamente come continuano a essere reali quelle sul processo democratico e di integrazione dell’Unione sempre sopra, sotto o di fianco, ma mai dentro i Parlamenti o il Parlamento.