Euronext, che controlla la Borsa di Parigi, ha raggiunto un accordo con il London Stock Exchange per l’acquisto della Borsa italiana per circa 4,3 miliardi di euro. Euronext viene presentato come “il consorzio paneuropeo” di cui sono azionisti anche Cdp Equity e Intesa Sanpaolo. Un lettore distratto, a questo punto, potrebbe pensare che la borsa di Milano entra a far parte di un gruppo che controlla le borse europee con l’Italia come protagonista.



Il principale azionista di Euronext è la Cassa depositi e prestiti francese e la sede è a Parigi. Questo consorzio paneuropeo che effettivamente controlla anche la borsa di Amsterdam e di altri Paesi piccoli Paesi europei (Belgio, Portogallo, Dublino e Norvegia) non è tanto paneuropeo; perché, per esempio, manca la principale economia europea, la Germania, perché la Gran Bretagna non è mai entrata neanche quando era nell’Unione europea e perché manca la Spagna. In sostanza è un gruppo franco-olandese, dato che questi due mercati fanno più del 70% dei ricavi; di questo 70% due terzi sono fatti in Francia. Presentare Euronext come un consorzio paneuropeo è oggettivamente fuorviante. È un gruppo franco-olandese che controlla anche alcune piccole borse europee.



L’Italia è l’unico Paese tra i primi cinque dell’Unione europea per abitanti, inclusa ancora per poco la Gran Bretagna, che non ha la “sua” borsa; evidentemente c’è un’anomalia e l’anomalia è quella italiana. La borsa è strategica perché permette di raccogliere capitali internazionali sia sul debito che sul capitale. Ci avvisano autorevoli quotidiani nazionali che se la cessione della Borsa italiana fosse avvenuta tramite un’asta competitiva, con la partecipazione della borsa svizzera e di quella tedesca. la valutazione sarebbe salita a 5 miliardi. Dovremmo quindi concludere, sempre ammesso che ci fossero dubbi, che la scelta di vendere a Euronext e non ad altri è tutta politica. D’altronde come potremmo anche solo immaginare che una decisione di questo tipo, per quanto subita dalle valutazioni di London Stock Exchange, possa avvenire senza un accordo del Governo italiano o in modo ostile.



Quindi, riassumendo, Borsa italiana non si unisce a un consorzio paneuropeo, ma si sposa con un gruppo “franco-olandese” nonostante sul tavolo ci fossero le offerte tedesche e svizzere, mentre la scelta di ricomprarsi la borsa, che costa poco più di quanto si userà per il salvataggio di Alitalia, e fare come la Spagna non viene neanche presa in considerazione. In questa sede non vorremmo nemmeno discutere della convenienza di andare con Parigi piuttosto che con la Germania, la quale, ha punti di contatto con la nostra industria infinitamente superiori. Quello che ci preme sottolineare è l’ennesima narrazione su gruppi “paneuropei” che non solo non sono affatto “pana”, ma che nascondono scelte precise: andare con Parigi e non con Francoforte, per esempio, e scartare a priori l’ipotesi di rimanere da soli come Madrid che, ci risulta, fa ancora parte dell’Europa.

Narrare l’integrazione europea o l’Unione europea in questo modo non fa altro che alimentare la sfiducia sull’Europa perché le nostre povere considerazioni sono facilmente recuperabili da chiunque. Dire la verità, ci siamo alleati con Parigi e non con Berlino o con Londra o con Madrid o con Zurigo, sarebbe meglio per tutti; tra le altre cose perché l’Europa o la sua idea non sarebbero coinvolte in modo così improprio.