Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa, Medvedev, ieri ha dichiarato che se l’Europa imponesse un tetto al prezzo del gas allora il gas russo smetterebbe di arrivare nell’Unione. Questo per l’Europa significa affrontare lo spettro dei razionamenti anche immaginando un inverno normale.
Non è chiaro se i razionamenti saranno uniformi tra Paesi membri, perché alcuni Stati non dipendono dal gas russo. I razionamenti non hanno un impatto solo sulla qualità della vita delle famiglie, ma anche sul sistema produttivo, che deve chiudere o limitare la produzione.
Il costo della guerra continua ad aggiornarsi. Sei mesi fa, all’inizio del conflitto, la percezione diffusa del costo era qualche grado in più d’estate e qualche grado di meno in inverno. In queste settimane si sta prendendo atto dei costi insostenibili delle utenze per una larga parte del sistema produttivo e per le famiglie. È un costo economico che viene letto con le stesse lenti del lockdown, risolto con un fiume di debito e di aiuti statali, mentre lo Stato e molte imprese private hanno continuato ad accreditare gli stipendi. La dimensione vera del problema è molto più ampia di quel poco che si è visto finora, ma la percezione resta quella di una crisi “normale” per quanto grave.
Il prossimo capitolo sarà la scomparsa o la difficoltà di approvvigionamento di alcuni beni che oggi consideriamo scontati: l’acqua frizzante in questo caso è solo la punta dell’iceberg. La confezione che si compra al supermercato, così come molti altri prodotti, è solo la parte finale di una catena di fornitura lunga e interconnessa. L’anidride carbonica con cui si produce l’acqua frizzante, per rimanere all’esempio, è prodotta con gli scarti delle industrie chimiche e di fertilizzanti, che a loro volta sono colpite dalla crisi del gas. Possiamo moltiplicare questi fenomeni per un numero imprecisato di prodotti. È un circolo vizioso in cui la mancanza di un componente ferma a cerchi concentrici anche il resto.
Questa crisi ha alcune caratteristiche. Peggiora l’inflazione, perché incide sulla disponibilità dei beni. Arriva a toccare settori che vengono considerati scontati, come quello della disponibilità di alimentari sicura e abbondante. Infine, ha un impatto sociale che trascende sia le crisi passate sia la capacità di risposta dei sistemi. Anche ammesso che un sistema economico possa nel breve-medio periodo ristrutturarsi per adeguarsi alla nuova realtà geopolitica, la crisi sociale arriva molto prima della soluzione e alimenta il circolo vizioso.
La questione è quindi quale sia la soluzione al problema economico della guerra, perché mettendo in fila tutti gli elementi esso è irrisolvibile senza immaginare sconvolgimenti politici e sociali. La soluzione al problema economico appare impossibile, perché è esclusa a priori la pace, che invece lo farebbe rientrare velocemente. La soluzione al problema economico di una guerra che si allarga e scava solchi nelle famiglie e nelle imprese è il ritorno agli scambi di gas e grano o di mobili e macchinari.
Il costo economico dello scenario attuale è troppo alto per qualsiasi compagine politica, che quindi ha solo una possibilità: inserire le marce del conflitto per tenere sotto controllo i problemi interni. Più si posticipa la pace, più si avvicina il momento in cui il peggio della politica la proporrà e realizzerà come la soluzione al problema della disoccupazione e della fame.
Esattamente come fece Lenin al posto del suo predecessore Kerenskij. Non è finita bene.
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