Il 14 luglio la Commissione europea presenterà nuove regole e nuovi provvedimenti che si riverseranno in direttive che avranno profonde conseguenze sull’industria dei motori termici in generale. Non solo il comparto cosiddetto automotive sarà irreversibilmente colpito, ma altresì una serie di filiere industriali che saranno sottoposte a regolazioni sinora inusitate.



Sarà una nuova variante della contaminazione non pandemica ma istituzionale che contraddistinguerà negli anni che verrano il profilo industriale dell’Europa manifatturiera e la esporranno a una concorrenza di sistema da cui potrà essere seriamente minacciato lo stesso sistema sociale stratificatosi in anni di cambiamenti sinora indotti dalla dialettica tra decisioni politiche e decisioni delle organizzazioni attive sui mercati, in primis le imprese.



La finalità resa manifesta dai provvedimenti delle tecnocrazie europee sorrette dal landscape simbolico e ideologico che fa del clima un totem sacrificale è quella di combattere le emissioni di CO2 e di contrastare in tal modo l’aumento delle temperature planetarie medie. Del resto le televisioni di tutto il mondo trasmettono le immagini dei boschi canadesi che ardono come ardevano le colline californiane e le pianure australiane mentre i ghiacciai si sciolgo al Polo Nord (non al Polo Sud e non a caso, e questo contrasto, che dovrebbe far notizia per ricordare le ciclicità asimmetriche della Terra così come dei pianeti, non fa notizia!).



Ma nel mentre questo accade – ed è un segnale di un fenomeno che va giustamente contrastato con giuste politiche ambientali – non ci si rammenta che poche settimane or sono milioni di cittadini texani si son visti privati per decine di ore dell’energia elettrica. Come questo sia potuto accadere nel cuore dell’industria petrolifera e tastiera mondiale storicamente affermatasi sino a un decennio or sono non se lo è chiesto nessuno, salvo pochi studiosi indipendenti come Alberto Clò e Davide Tabarelli.

Il fatto è che le politiche energetiche prevalenti affermatasi per contrastare l’aumento delle temperature medie sono guidate da un mix di ignoranza e di sudditanza alle lobbies dell’industria elettrica mondiale. Quest’ultima dispone di una serie di intellettuali organici della disinformazione. In primo luogo, di tutto fa per far dimenticare che l’elettricità non è una fonte ma un vettore energetico, che dovrebbe essere attivato non, come oggi accade, da una serie di industrie ad altissima produzione di CO2 e di metalli non riciclabili, come quelle per produrre pannelli solari, turbine eoliche e soprattutto componenti miniaturizzati in silicio e in terre rare. Mentre la produzione dell’idrogeno elettrolitico è lontana, quella dei generatori di potenza fondati su fonti interrompibili nelle ore di punta della domanda è invece terribilmente vicina, con le conseguenze che abbiamo visto su scala di massa in Texas e che vedremo in futuro sempre più spesso.

Senza dilungarci più sulle conseguenze occupazionali e di prezzo che lo sciagurato dirigismo avrà sempre più in futuro, va detto che con i prezzi energetici crescono le varie forme di povertà energetica che si sono rese manifeste la prima volta anni or sono non nei continenti in via di sviluppo, ma nel Regno Unito come in pochi disvelammo.

La follia dirigistica di contrastare l’innalzamento delle temperature non con politiche che emergono dalla contrattazione nel mercato e con il mercato, ma con decisioni tecnocratiche legittimate solo dallo stordimento ecologico, ha appena iniziato a produrre i danni immensi di una transizione non contrattata del tipo di quella che va inverandosi in una Ue sempre più simile all’Urss.

Pare che non vi siano alternative alla politica dei trattati senza democrazie. Eppure sono pesantissime le conseguenze geopolitiche. È superfluo ricordare il ruolo che, nell’inveramento delle produzioni citate prima, dirette a sostenere l’industria energetica elettrica non alimentata dai fossili, ha una potenza imperialistica come la Cina, che celebra proprio in questi giorni i suoi deliri ideologici neomaoisti.

È necessario un ritorno alla ragionevolezza e al confronto intellettuale. Solo gli intellettuali e i ricercatori indipendenti possono produrre questa svolta sempre più necessaria.

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