Caro direttore,
la visita di Zelensky nei giorni scorsi alle tre capitali (Roma, Berlino e Parigi) dei Paesi fondatori dell’Europa unita e il conferimento del premio Carlo Magno, che ogni anno dal 1950 viene assegnato a chi contribuisce allo sviluppo degli ideali su cui è fondata l’Europa e che quest’anno è stato attribuito proprio a Zelensky e al popolo ucraino, avvicina in modo significativo l’Ucraina all’Europa. Questo legame del resto è l’esito del processo avviato nel 2013, quando il popolo ucraino scese in piazza nei giorni di Euromaidan, sfidando l’esercito e divenendo ad un tratto europeo.
L’Europa accoglie l’Ucraina nella famiglia europea con un atto politico nient’affatto scontato. Si conferma il giudizio di Altiero Spinelli, grande padre dell’Europa unita, che evidenziava i limiti di una certa tendenza tecnocratica nel processo di integrazione che “scambiava l’efficienza esecutrice del potere amministrativo con la creatività del potere politico”. A suo avviso, “nessuna agenzia settoriale europea avrebbe avuto una forza trascinante per il resto delle economie e delle società europee, ove fossero mancati impulsi politici provenienti dal di fuori dell’agenzia”. Oggi, nella guerra in corso in Ucraina, a far avanzare il processo di integrazione è proprio un impulso politico, immortalato per sempre dalla storica immagine di Draghi, Macron e Scholz in treno verso Kiev, con cui i tre leader riconoscevano la guerra in Ucraina come una guerra per la difesa dei valori europei, anteponendo ragioni di ordine morale a quelle economiche, e aprendo così la via ad un nuovo corso per l’Europa.
Non c’è dubbio che l’invasione russa il 24 febbraio dell’anno scorso ha risvegliato i mostri della storia europea, facendo rivivere incubi di un passato che si sperava sepolto per sempre: negare la libertà di un popolo, muovere carri armati, aeri, missili per obbligare milioni di persone alla resa e minacciando persino l’arma nucleare; tutto ciò ha azzerato le sicurezze di un’Europa costruita sul rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto e rimesso in discussione il suo progetto.
A Kiev infatti non è attaccata solo l’Ucraina ma l’Europa nella sua essenza, nei suoi valori costitutivi, in quanto civiltà fondata sul primato della persona umana, che ha avuto il coraggio di trascendere le frontiere nazionali e costituire uno spazio sovranazionale a garanzia della pace. La nuova identità europea, nata sulle macerie morali e materiali causate da quella che il Tribunale di Norimberga ha chiamato la più grande impresa di schiavitù della storia, si è affermata contro l’idea di sovranità assoluta concepita a Vestaflia nel 1648 per costruire un’entità politica originale, la cui cifra, ha scritto il grande filosofo bulgaro Todorov, è il totale rispetto verso l’altro. È impossibile esagerare l’importanza di questa nuova costruzione europea, che ha avuto il merito di trasformare l’Europa “da continente di guerra in continente di pace”, come è stato detto durante la consegna del premio Nobel per la pace nel 2012 assegnato proprio all’Unione Europa. Questo, non l’antifascismo, è stato il nuovo mito positivo uscito dal dopoguerra, che De Gasperi si è preoccupato di diffondere dedicando ad esso tutte le sue energie negli ultimi anni della sua vita: “Quale mito dobbiamo dare alla nostra gioventù per quanto riguarda i rapporti tra Stato e Stato, l’avvenire della nostra Europa, l’avvenire del mondo, la sicurezza, la pace se non questo sforzo verso l’Unione”.
L’invasione russa, da questo punto di vista, altro non è che un tentativo di costruire un nuovo ordine europeo e globale. Essa arriva nel momento di crisi interna delle democrazie occidentali e all’indomani della ritirata dell’Occidente dall’Afghanistan, nel tentativo di ricacciare indietro l’Europa, riconsegnandola a quella storia di nazioni da cui essa si considerava uscita per sempre.
L’equivoco con cui oggi a mio avviso si tratta il tema della pace consiste nel fatto che si tralascia il valore della giustizia, che è il vero fondamento della politica, come già sosteneva Platone nella sua Repubblica. È appena il caso di ricordare che non è l’unità europea che ha creato la pace; piuttosto è stata la riabilitazione della giustizia, incentrata sulla dignità della persona umana, che ha rappresentato la spina dorsale dell’unità europea e permesso la pace. Non a caso Kant, nel suo grandioso progetto della pace universale, poneva come sua conditio sine qua non il rispetto dei diritti naturali di libertà.
Del resto, a ben vedere, i tre padri dell’Europa unita, Schuman, Adenauer e De Gasperi, hanno pensato e costruito uno spazio transnazionale di pace perché nati e cresciuti in luoghi di periferia e di confine, in mezzo a culture e religioni diverse, chiamati perciò ogni giorno a confrontarsi nel dialogo, nella convivenza e nel rispetto dell’altro. Schuman è vissuto nella Lorena, territorio conteso da Francia e Germania tra Ottocento e Novecento, al punto che i suoi abitanti furono costretti a cambiare cittadinanza più volte nel corso di una sola generazione. Adenauer nato a Colonia fu anch’egli uomo di confine: visse nella Prussia renana che lui voleva come indipendente dalla Prussia, essendo questa zona contesa da Francia e Germania a causa del carbone. De Gasperi infine era nato nel Trentino, allora parte dell’Impero austro-ungarico, ed era stato eletto nel parlamento di Vienna, al cui interno c’erano rappresentanti ungheresi, cechi, galiziani, croati, rumeni, sloveni, italiani ecc. Erano tre visionari che grazie alla loro fede cristiana e ad un’ispirazione sinceramente democratica hanno saputo anticipare il futuro stringendo un’amicizia capace di superare le ferite della guerra e realizzare qualcosa che non ha precedenti nella storia. Il loro fu uno sforzo creativo per certi versi miracoloso, se si pensa all’odio accumulato durante le guerre, e che ha fatto dell’Europa un luogo di incontro tra popoli che costituisce oggi per gli europei una vocazione e una missione collettiva con cui riscattare le indicibili afflizioni all’umanità causate nel Novecento.
È a questa comunità di destino che l’Ucraina ha scelto di aderire e a cui la Russia si oppone con la forza più brutale, cercando di mantenerla legata ai suoi lacci di morte e calpestando il suo diritto a congiungersi con l’Europa.
Rimanere neutrali davanti a questa aggressione significa non comprendere la missione culturale dell’Europa, né l’impronta cristiana che l’ha plasmata e che è stata così centrale nel magistero di papa Benedetto, come quando scriveva: “la fissazione per iscritto del valore e della dignità dell’uomo, di libertà, eguaglianza e solidarietà, con le affermazioni di fondo della democrazia e dello Stato di diritto, implica un’immagine dell’uomo, un’opzione morale e un’idea di diritto niente affatto ovvie, ma che sono di fatto fondamentali fattori di identità dell’Europa”.
In quest’ora, in cui è nuovamente in gioco la sua identità, l’Europa, accogliendo l’Ucraina, riscopre la propria forza morale e si unisce alla resistenza di un Paese la cui liberazione è l’unica speranza di una pace stabile e duratura.
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