Non arrivano buone notizie per l’economia dell’Eurozona. Gli indici PMI relativi al mese di luglio, infatti, hanno registrato una “quasi-stagnazione”, in particolare per quel che riguarda il settore manifatturiero (il cui indice è sceso a 45,6 da 45,8 di giugno), ma anche nei servizi si è registrato un rallentamento (da 52,8 a 51,9). Come ci spiega Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, «questi dati riflettono soprattutto le difficoltà delle due principali economie europee,Francia e Germania».



L’industria tedesca sembra in effetti in forte difficoltà, l’indice PMI manifatturiero è sceso a 42,6 da 43,5 del mese precedente…

Dopo anni di inflazione zero, l’improvvisa fiammata dei prezzi registrata dopo l’invasione russa dell’Ucraina ha portato molti tedeschi a contrarre fortemente i loro consumi e la crisi energetica ha messo in difficoltà l’industria, il cui principale settore, l’automotive, ancora fatica a riprendersi per via del processo di transizione all’elettrico stabilito dall’Ue. Come se non bastasse, l’ostinazione a rispettare il freno al debito porta il Paese teutonico a continuare a rinunciare anche a una politica keynesiana che potrebbe aiutarla a ripartire.



Cosa ci dice, invece, della Francia?

L’indice PMI manifatturiero a luglio è salito a 53,3 da 52,6 di giugno, ma l’economia resta ferma e la situazione politica non aiuta. Le Olimpiadi potrebbero dare una spinta ai servizi, anche perché Parigi è sì già una meta turistica ambita, ma più negli altri mesi dell’anno che non durante l’estate. Fortunatamente ci sono alcuni Paesi dell’Eurozona, come Italia e Spagna, che stanno mostrando un maggior dinamismo economico.

La settimana scorsa c’è stato il discorso programmatico di Ursula von der Leyen al Parlamento europeo che l’ha rieletta a capo della Commissione, ma l’economia, nonostante queste difficoltà, non sembra essere stata al centro della sua attenzione.



Mi sembra ormai che da un po’ di tempo a questa parte l’obiettivo principale dei vertici dell’Ue sia quello di far proseguire le proprie carriere politiche. E così la von der Leyen, per ottenere l’appoggio dei Verdi, ha garantito loro la prosecuzione dell’assurdo Green Deal, che potremmo definire una linea di anti-politica industriale, che oltretutto non aiuta poi così tanto il clima.

Cosa intende dire?

Nei libri di storia non ci saranno elogi per gli europei per aver fatto da avanguardia nella lotta al cambiamento climatico, ma accuse per aver costretto le loro fabbriche efficienti a chiudere, determinando così un aumento della produzione cinese, che ha aggravato la situazione ambientale.

È stato che il Green Deal verrà portato avanti, ma tenendo maggiormente conto delle esigenze industriali.

Per adesso si tratta solo di enunciazioni, non è stato spiegato in che cosa dovrebbe concretizzarsi questo cambio di linea.

Se questa è la situazione continentale, per quanto l’economia italiana potrà continuare a crescere più della media europea?

Mi verrebbe da dire per almeno dieci anni, considerando anche che le cassandre nostrane continuano essere smentite. Basti guardare agli ultimi dati sulle entrate fiscali che superano di oltre 24,5 miliardi le previsioni iniziali del bilancio di quest’anno. Checché se ne dica, il nostro Paese è tra i virtuosi d’Europa dal punto di vista contabile. I dati di Eurostat sul primo trimestre dell’anno dicono che il nostro debito è cresciuto di quasi 103 miliardi di euro rispetto ai primi tre mesi del 2023. La Francia ha fatto peggio di noi, con un aumento di 141 miliardi, mentre per la Spagna l’incremento è stato di poco più di 76,5 miliardi e per la Germania di meno di 49 miliardi. Tuttavia, se scorporiamo il costo degli interessi sul debito, la situazione cambia, e di molto.

In che modo cambia?

L’aumento del debito italiano diventa di poco più di 21 miliardi di euro, mentre quello spagnolo di oltre 40 miliardi e quello francese di 87 miliardi. Meglio di noi fa solo la Germania con un incremento di meno di 9,2 miliardi. Con questo non voglio certo dire che il debito pubblico italiano non debba essere ridotto, ma è pur vero che gli interessi che dobbiamo pagare su di esso incidono, e non poco, sui conti pubblici. Si tratta di una sorta di tassa per stare nell’euro, perché non c’è altra spiegazione perché dobbiamo pagare così tanti interessi sul debito. Non dipende da incapacità o irresponsabilità del Governo. L’Europa sembra non solo non avere una strategia industriale, ma nemmeno fiscale.

La prossima settimana conosceremo il dato sul Pil italiano relativo al secondo trimestre. Cosa si aspetta?

La produzione delle costruzioni è cresciuta ancora nella prima parte dell’anno, i servizi anche, specie il turismo. La produzione industriale, invece, continua ad arrancare. Staremo a vedere, ma è abbastanza verosimile che il secondo trimestre possa essersi chiuso al +0,2%. E resto confidente sul fatto che riusciremo a chiudere l’anno al +1%.

(Lorenzo Torrisi)

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