Sei mesi fa. Dobbiamo tornare indietro nel tempo esattamente a inizio anno. Allora, la partenza del neonato 2023 apriva le danze sulle note dell’ottimismo a seguito di un nuovo dato diffuso. Neppure una settimana era trascorsa e uno tra i molti rilievi di natura economica che caratterizzano il trascorrere delle settimane si palesava alla platea degli osservatori: l’indice PMI sul settore manifatturiero dell’Eurozona. Ufficialmente, il dato (positivo) rappresentava un punto fermo al 2022 appena concluso,, ma, sull’onda emotiva di questa conclusione, l’ottimismo era palese.



A distanza di sei mesi, ieri, il sopracitato indice PMI si è riaffacciato, ripresentandosi, attraverso un indicatore economico ben più ampio perché comprendente sia la componente manifatturiera, sia quella dei servizi: il PMI Composite.

Nulla di nuovo sia ben chiaro. Verosimilmente si tratta di una sintesi per tutti coloro che non vogliono girarci molto attorno. Una sorta di motto “dimmi tutto ora e in fretta” che, pur confermando la medesima interpretazione basata su valori che possono oscillare tra 0 e 100 e una linea di equilibrio pari al livello 50, vede, però, un risultato finale che decreta un significato ben diverso. Di fatto, il gravitare attorno all’area dei 50 punti non è auspicabile, infatti, un approdo inferiore a questo valore rappresenta una decrescita, una contrazione, insomma un “male”. Viceversa, come intuitivamente ovvio, assistere a valutazioni superiori “al cinquanta” rappresenta l’opposto: una crescita, una espansione, un “bene”.



Il dato di ieri, nella sua estrema sintesi numerica, registra un pressoché “non bene”: 49,9 punti. Nel comunicato stampa di S&P Global, questa velata riduzione trova una descrizione con il termine stallo: «Economia dell’eurozona di giugno in stallo». Purismo letterale e letterario a parte, il dato (negativo), rimane. Infatti, rispetto al nostro citato ottimismo di sei mesi fa, oggi, invece, si può riscontrare questo: «A fine secondo trimestre, concludendo una sequenza di forte crescita sostenuta dal terziario da inizio 2023, l’economia dell’eurozona si è arenata». Non solo. «A fine secondo trimestre si è inoltre registrata una perdita di fiducia, con un valore crollato ai minimi da inizio anno».



Ma, guardando all’insieme delle rilevazioni pubblicate («si attenua la crescita del terziario e crolla la produzione industriale»), l’aspetto che maggiormente attira l’attenzione (anche per i termini utilizzati) è quello relativo a: «Gli ultimi dati dell’indagine ci hanno rivelato che la direzione di marcia delle cinque nazioni monitorate dall’indagine è stata complessivamente recessiva, con un Indice PMI Composito in calo in Spagna, Irlanda, Germania, Italia e Francia. Le ultime due nazioni, in particolare, hanno registrato il primo calo dell’attività terziaria in sei e cinque mesi rispettivamente. La più grande nazione dell’eurozona, la Germania, ha continuato ad indicare una crescita, che però è rallentata notevolmente rispetto a maggio, segnando tassi marginali. La Spagna è stato il Paese che ha registrato la prestazione più forte, come avviene da febbraio scorso». Oggettivamente, quella citata direzione di marcia «complessivamente recessiva», conferma, nei fatti, l’attuale recessione tecnica dell’Eurozona.

Obiettivamente quel decimale che, purtroppo, certifica una – attuale – debolezza strutturale potrebbe mutare in poco, molto poco, tempo. Potrebbero bastare alcune settimane per assistere alla svolta. Questo, infatti, non desta troppa preoccupazione. Contrariamente, quello che ci vede rabbuiati soprattutto in ottica di brevissimo termine è, invece, strettamente riconducibile alle ormai imminenti scelte di politica monetaria in capo alla Bce.

Finora, le motivazioni alla base delle scelte intraprese dal Consiglio Direttivo si sono essenzialmente caratterizzate per il contrasto all’inflazione. Una lotta che, anche recentemente, non vede una propria conclusione collocabile in un “certo” orizzonte temporale. Oltre a questa significativa incognita, pensando ad alta voce, non vorremmo apprendere a margine delle prossime decisioni che il rischio recessione, ancor più avvalorato della contrazione dell’indice PMI Composite, possa trovare riscontro (e motivo) per ulteriormente dilatare la già ampia e non terminata corsa al rialzo dei tassi d’interesse. L’inflazione vivrebbe di un suo fisiologico accantonamento (nelle argomentazioni), lasciando il posto a una nuova rivale: la recessione e i suoi dettami. Se così fosse, l’intera Bce (nessun escluso), vivrebbe “di rendita” per le future mosse in programma: difficile contestare ulteriori interventi. In effetti lo stanno facendo per il bene di tutti o, quanto meno, per conseguire uno stato di apparente “non male”.

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