In un’intervista al Corriere della Sera, il leader del Ppe, il tedesco Manfred Weber, ha tracciato un quadro molto efficace dell’avvicinamento della politica europea al rinnovo del Parlamento Ue. Una prospettiva utile anche a leggere il momento politico interno in Italia.

Weber ha anzitutto preannunciato che il “candidato di punta” del Ppe il prossimo giugno sarà l’attuale presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, tedesca Cdu (Ppe), se questa accetterà. In concreto: se così avverrà (e le probabilità sembrano aumentare di giorno in giorno) vi sarebbero fin d’ora pochi dubbi che per altri cinque anni il “Premier Ue” sarà von der Leyen. Ma con un cambio di profilo tutt’altro che formale: non più éresidente improvvisata dai 27 capi di governo alla terza alba di trattative nell’estate 2019, bruciando lo stesso Weber (allora spitzenkandidat appena eletto nelle fila del maggior partito a Strasburgo). Von der Leyen diventerebbe lei – per la prima volta dal 1979 – un capo dell’Esecutivo legittimato anzitutto dal voto democratico di oltre 400 milioni di europei. Dunque – nella visione Ppe – una Commissione più politica e meno tecnocratica, anche se – prevedibilmente – ancora influenzata nella composizione da un “Cencelli” gestito dai 27 leader incrociando pesi/interessi dei singoli Paesi Ue. Ma quale “maggioranza” sosterrebbe il “Von der Leyen 2”?



Weber è stato chiaro anche su questa variabile-base. La politica e la governance dell’Europa, registrati gli esiti del voto del prossimo giugno, non potranno che ripartire dalla “grande coalizione di fatto” che domina da sempre sia Strasburgo che Bruxelles: quella tra i popolari, i socialdemocratici e i liberali. Finora però sempre maggioritaria nei numeri, mentre potrebbe non essere più così dopo le elezioni. E poi – ha sottolineato Weber con accenti inequivocabili, – l’agenda non può essere più ristretta all'”ideologia europea”: l’europeismo vuoto di contenuti non può più essere il collante dell’Ue quasi 70 anni dopo i Trattati di Roma e mentre si stanno riscrivendo quelli di Maastricht, nel pieno di una crisi geopolitica. Quindi, sul tavolo delle tra maggiori “famiglie” europee dovrà essere composta una piattaforma e questo confronto definirà il perimetro stesso della nuova “coalizione von der Leyen”.



Su due punti Weber è stato esplicito. Primo: l’Ue deve strutturare una vera politica dei flussi migratori – oltre l’obsoleta Dublino 2013 – per superare un’emergenza che colpisce numerosi Paesi europei (e su questo fronte il leader Ppe ha annotato sia persistenti rigidità di socialisti e verdi, sia il riemergere di pressioni populiste). Secondo, il Ppe si sente pienamente impegnato nella transizione ambientale, ma ha già espresso in aula a Strasburgo due “no”: allo stop ai motori a combustione tradizionale e alla cosiddetta “legge per il ripristino della natura””, avversata da tutte le organizzazioni agricole europee di cui il Ppe si sente forza rappresentativa.



Servono “compromessi anche se nessuno è felice”. È evidente che in quadro politico-istituzionale in ricostruzione dinamica la nuova maggioranza non sarà un punto di partenza ma d’arrivo. E interpellato sul possibile coinvolgimento di Ecr (i Conservatori e riformisti di cui la Premier italiana Giorgia Meloni è stata finora personalmente leader) Weber ha riconosciuto che “la costruzione dei compromessi continuerà a basarsi sulle maggioranze decise dai cittadini”. Di più: “Con Meloni ho avuto buoni contatti, penso che stia facendo del suo meglio per mantenere l’Italia forte e le promesse fatte. La rispetto. L’Italia è stata un grande partner nel trovare soluzioni per il pacchetto migrazione. È bello vedere che il Governo italiano è davvero un Governo europeo”. Naturalmente non è mancata una parola per il vicepremier Antonio Tajani, leader di Fi, quindi terminale italiano diretto del Ppe: nonché ex Presidente dell’europarlamento ed ex commissario Ue. Ma è chiaro che il ruolo dell’Italia nell’Ue dell’immediato futuro – in una cornice di enorme volatilità geopolitica – si giocherà principalmente sulle compatibilità strategiche che potranno essere trovate tra palazzo Chigi e Bruxelles e in parallelo su quelle politiche fra Ecr (a trazione Fdi) e Ppe.

lI nucleo politico-programmatico della “Agenda Ppe” è stato illustrato in Italia dal leader tedesco quando si infittiscono le letture di un recente intervento di Mario Draghi sull’Economist. In esso l’ex premier ha sollecitato l’Europa a un cambio di passo proporzionato a un cambio d’epoca che il Vecchio Continente sta vivendo per primo. Ha colpito – dopo un anno di silenzio – il tono deciso con cui l’ex Presidente della Bce ha incalzato la prospettiva di un ripristino inerziale dei parametri di Maastricht: cioè di un ritorno alla gestione tecnocratica centralizzata che ha caratterizzato l’Ue nell’ultimo trentennio. Se Draghi è stato il promotore originario del Recovery Plan post-Covid (che la Germania di Angela Merkel e la Francia di Emmanuel Macron-1 hanno fatto proprio), l’ex Premier istituzionale italiano ha buone chance di essere letto con attenzione a Berlino da un pericolante Cancelliere rosso-verde come Olaf Scholz e a Parigi da “Macron-2” , molto debole sia all’interno sia ora all’esterno, per la raffica di colpi di stato nell’Africa francofona.

Su questo sfondo è verosimile che sbagli sia chi candida Draghi alla presidenza della Commissione Ue, sia chi vorrebbe farne un capofila politico (addirittura solo nazionale per il Centro). È invece più realistico pensare a Draghi (leader “atlantico”, stimatissimo sia negli Usa che nella City) come una preziosa “riserva della Repubblica”, in Italia o in Europa. Anzi, meglio: in Italia “e” nell’Ue. Sia che si ritrovi alla presidenza della Repubblica italiana, qualora Sergio Mattarella decidesse di seguire le orme del predecessore Giorgio Napolitano; sia che a una Commissione Ue più politica sia funzionale un salto di qualità istituzionale alla presidenza del Consiglio Ue, oggi affidata al belga Charles Michel. Una poltrona sulla quale il profilo di garanzia autorevole profondamente insito nel cursus di Draghi sarebbe naturalmente esaltato.

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