La Conferenza sulla sicurezza di Monaco è iniziata con un appello di Zelensky a non considerare alternative alla sconfitta russa. E con l’Unione Europea che ribadisce di stare dalla parte di Kiev: un sostegno militare che non esclude la via diplomatica, perseguita sottotraccia al di là delle dichiarazioni pubbliche di invio delle armi.
Una situazione in cui Macron e il suo alleato tedesco Scholz vedono ridimensionato il ruolo da protagonisti che volevano ritagliarsi, soprattutto il primo. E nella quale spunta un’offerta di pace da parte di Lukashenko, che vuole portare a Minsk Biden e Putin per cercare di fermare la guerra.
“Probabilmente con questa apertura – spiega Mauro Indelicato, giornalista de Il Giornale e di InsideOver – Lukashenko vuole smentire ogni voce che lo vedrebbe direttamente coinvolto in Ucraina a partire dal prossimo 21 febbraio, quando è atteso un discorso di Putin a partire dal quale c’è chi ipotizza una fase 2 di questa guerra”. In attesa delle parole del leader russo la Ue comunque conferma di stare con Zelensky.
Cosa rappresenta in questo momento la Conferenza di Monaco? Che tipo di orientamento esce sulla guerra in Ucraina?
Lo stesso che è risultato dall’incontro nella base tedesca di Ramstein di alcune settimane fa tra i ministri della Difesa della Nato, vale a dire di un sostegno verso l’Ucraina. Questa conferenza assume un significato importante perché è la prima da quando è iniziato il conflitto ed è stata preceduta da diverse riunioni del gruppo di contatto dei Paesi occidentali che hanno già espresso una posizione a favore di Kiev. Certamente esistono piccole divergenze che sono state evidenti in occasione del dibattito sulla fornitura dei Leopard da parte della Germania. Divergenze poi superate ma che sono un po’ il sintomo di una insofferenza europea cui gli americani cercano di dare delle risposte per poter proseguire l’impegno a favore dell’Ucraina.
Ma sostegno vuol dire che si pensa ancora a inviare le armi? Perché nonostante i discorsi sugli F16 e i carri armati, la diplomazia non sembra così inattiva per ottenere un tavolo in cui si parli di pace.
C’è un doppio binario, quello più evidente e lampante è il sostegno militare, l’altro binario, quello diplomatico, anche per sua natura è più nascosto ma è comunque sempre un binario attivo. Apparentemente sembrerebbe una contraddizione, perché se tu dai armi all’Ucraina sembri un po’ troncare il binario diplomatico. In realtà il sostegno militare può avere la funzione di sollecitare la diplomazia a correre in maniera più spedita. L’Europa, la Nato, il blocco occidentale confermano il sostegno all’Ucraina, non indietreggiano, e questo, nell’ottica dell’apertura di tavoli a livello diplomatico, ha l’obiettivo di mettere più pressione alla Russia.
Quindi si parla di armi per far capire che non si scherza e che sarebbe meglio mettersi d’accordo?
Esatto. È una strategia che viene attuata anche da Mosca: quando manda in avanscoperta, come è successo di recente, le navi con armamenti nucleari al loro interno, quando parla di nucleare tattico, quando conferma l’intenzione di continuare lo sforzo bellico, anzi, di reclutare altro personale e soldati, vuole far capire che non vuole fermarsi. Entrambe le parti vogliono far capire che sono pronte ad andare avanti per mettere reciprocamente una certa pressione. Quindi la strategia occidentale è alla fin fine analoga a quella di Mosca e spiega anche il motivo per cui questo conflitto non vede al momento una via d’uscita.
Macron ha cercato di recitare un ruolo da protagonista in questa vicenda. Come sono le sue azioni in questo momento, in ribasso?
Non solo lui, ma in generale l’asse franco-tedesco ne esce ridimensionato. Una linea autonoma in questa fase non viene ben vista né dagli Stati Uniti né da quella fetta di Europa, specialmente l’Europa orientale, che non vuole sentire parlare di dialogo con Putin. È chiaro che in questo senso l’asse franco-tedesco è un po’ stretto nella morsa sia atlantica che anche dell’Europa orientale. Macron ha provato anche prima del conflitto a ritagliarsi un ruolo di mediatore ma comunque l’appartenenza della Francia al sistema di difesa atlantico non poteva dare a Parigi lo stesso ruolo che si è ritagliata la Turchia, che sì, fa parte della Nato, ma non dell’Unione Europea. È un po’ più slegata da queste logiche e poi ha degli accordi con la Russia che riguardano la Siria, la Libia, il gas.
Macron, tra l’altro, ha detto: “L’Europa si armi se vuole difendersi”. Cosa significa questa dichiarazione? Che la difesa Ue deve fare perno sulla Francia? È il vecchio pallino fin dal trattato di Aquisgrana?
È un pallino di Macron e della Francia che pensa che il suo nucleare sia un’arma di deterrenza per l’Europa. Parigi ha sempre avuto l’ambizione di guidare la difesa europea. Un’ambizione che ha sempre coltivato, anche con le mosse di Aquisgrana. Macron non vuole rinunciare al sogno di una difesa europea che fa perno intorno a Parigi. Ci torna sempre.
Per quanto riguarda la Meloni la mancata partecipazione alla Conferenza, sia pure motivata da ragioni di salute, rappresenta un’occasione persa?
La posizione del governo italiano è stata ribadita più volte, anche di recente dopo le dichiarazioni di Berlusconi. Di conseguenza cambia poco: la posizione del nostro Paese è quella di un sostegno continuo all’Ucraina, senza se e senza ma. La Meloni avrebbe semplicemente ribadito la propria posizione. E lo ha già fatto anche alla luce di un quadro politico non così omogeneo per gli armamenti in favore dell’Ucraina. La presenza a tavoli di questo tipo è importante, specialmente per un presidente del Consiglio entrato in carica da poco; tuttavia, essendo la posizione italiana stata ribadita anche negli ultimi giorni, la non presenza per motivi di salute tutto sommato non è un male insormontabile.
Lukashenko ha invitato Biden e Putin a Minsk per parlare e cercare di fermare la guerra. Può veramente accreditarsi come mediatore per la pace, nonostante il suo legame con la Russia?
Anche lui è preso tra due blocchi: un blocco interno, perché non ha una grande popolarità nel suo Paese e non può permettersi di avventurarsi nelle operazioni militari in Ucraina, e Putin, che detiene in qualche modo il potere bielorusso “per interposta persona”. Lukashenko ha sempre avuto una posizione certamente filorussa, tanto è vero che ha fornito e fornisce basi e logistica ai russi, ma non può andare oltre perché rischierebbe di cadere al suo interno. Essendo preso tra queste due esigenze, salvaguardare il potere interno e rispondere al suo principale alleato, allora ha cercato una linea più moderata.
Insomma, deve mediare tra due esigenze, quella interna e quella esterna per salvaguardare i rapporti con Putin.
Questa apertura potrebbe essere la conferma di questa sua linea: “Sono vicino a Putin ma non ho intenzione di andare in guerra”. Un’apertura che rappresenta una novità e potrebbe essere eterodiretta da Putin per scrivere una pagina diplomatica.
D’altra parte la Bielorussia ha già svolto un ruolo di mediatore tra Kiev e Mosca.
Ricordiamoci che a Minsk sono stati firmati gli accordi del 2014, che avevano bloccato il conflitto 9 anni fa. La presenza della Bielorussia come Paese mediatore non sarebbe una novità. Tuttavia nel 2022 Minsk ha scelto di stare con i russi e ora è un po’ più difficile che riesca ad accreditarsi come mediatore.
(Paolo Rossetti)
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