Si riunisce oggi e domani 26 marzo il Consiglio europeo. In particolare, i leader dell’Ue faranno il punto sulla situazione epidemiologica, sul mercato unico, sulla trasformazione digitale, sulla situazione nel Mediterraneo orientale e sulle relazioni internazionali. All’ordine del giorno non vi sono solo le relazioni con la Russia ma è previsto un intervento del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che si collegherà alla videoconferenza questa sera.
Sono in questo senso interessanti le parole di Charles Michel, presidente del Consiglio europeo: “Ho invitato il Presidente degli Stati Uniti a partecipare alla riunione e a condividere le sue opinioni sulla nostra futura cooperazione. È tempo di rinsaldare la nostra alleanza transatlantica”.
Naturalmente, il rinsaldo dell’alleanza atlantica non può essere un’iniziativa del solo Michel. Se consideriamo, inoltre, quanto detto ieri dal Presidente Draghi in Parlamento, forse capiamo che questa “cooperazione” a cui allude Michel è già in corso: “La pandemia rende evidente l’opportunità di investire sulla capacità produttiva di vaccini in Europa. Dobbiamo costruire una filiera che non sia vulnerabile rispetto agli shock e alle decisioni che vengono dall’esterno. E abbiamo già iniziato a stabilire accordi di partnership con case internazionali per la produzione in Italia”.
Come già abbiamo scritto, la produzione di vaccini in Italia è obiettivo non solo del nostro Paese. A tal proposito, il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti – che sta portando avanti il progetto del polo pubblico-privato – ha incontrato di recente a Roma il commissario all’Industria Thierry Breton, il quale è stato il primo a insistere a Bruxelles sulla necessità per l’Europa di rendersi indipendente nella produzione di vaccini. Non è un caso che Breton sia transalpino, originario di un Paese – la Francia appunto – che insegna all’Europa cosa significa fare politica industriale.
Il tema della produzione di vaccini è l’occasione che rende concreti gli obiettivi del Green Deal europeo, che trovano accelerazione potente da marzo dello scorso anno: la riorganizzazione dell’industria europea – oltre alla sua innovazione verso la sostenibilità – e la risposta che l’Europa vuol dare alla riconfigurazione della globalizzazione. È ciò che ho approfondito nel mio libro Ripartenza verde. Industria e globalizzazione ai tempi del covid (Rubbettino 2020).
È proprio nell’ottica di un nuovo patto atlantico che Ue e Usa stanno muovendosi, anche per rispondere allo strapotere cinese. Del resto, la Cina è anche mondo che ha rivelato tutte le sue fragilità strutturali, non solo per l’origine della pandemia e la mancanza di trasparenza con cui Pechino si è relazionata al resto del mondo. Si pensi, anche, a 10 anni di back reshoring delle produzioni, politica avviata da Barack Obama che ha visto tutte le potenze manifatturiere – Usa, Canada, Uk, Giappone, Germania, Francia e Italia – recuperare gran parte delle attività produttive precedentemente delocalizzate. In particolare, la differenza degli ecosistemi e la qualità della manodopera sono i fattori che più hanno convinto gli imprenditori che produrre nei Paesi tradizionalmente manifatturieri e produrre in Cina non è la stessa cosa.
A novembre 2020, tra le prime dichiarazioni di Biden neoeletto Presidente Usa vi è l’apertura all’Europa e al suo Green Deal, importante per il nuovo multilateralismo che sta nascendo. Biden si farà ambasciatore delle Big Pharma che cederanno la licenza all’industria europea (italiana) e, nel nuovo patto atlantico, la produzione di vaccini sarà elemento dirimente.
I vaccini sono ciò che sta nel concreto riconfigurando la globalizzazione riportando l’Europa nell’alveo dell’alleanza atlantica, perimetro che è parte della sua storia. La figura di Mario Draghi, in questo senso, è decisiva.
Twitter: @sabella_thinkin
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