Dal 21 al 24 aprile la città costiera di Qingdao in Cina ha ospitato la 19esima edizione del Western Pacific Naval Symposium (WPNS), a cui sono intervenuti il capo della Marina russa Alexander Moiseev e il comandante della flotta del Pacifico statunitense Stephen Koehler. Da 30 anni il WPNS consente agli eserciti navali di 20 nazioni di incontrarsi e di promuovere quella condizione essenziale della sicurezza che è lo scambio di informazioni per prevenire incidenti e conflitti che da locali possono oggi divenire rapidamente globali. Xi Jinping, del resto, ha fatto della teoria “Oceano con un destino condiviso” uno dei tratti fondamentali del multilateralismo cinese ed è tale teoria che è stata presentata dai leader della Marina cinese come “il meccanismo per la cooperazione navale multilaterale nella regione che ha prodotto il maggior numero di risultati e ha il maggior potenziale”.
Sono note agli specialisti le numerose iniziative di cooperazione marittima avviate dagli USA in un quadro di crescente instabilità nel Mar Cinese Meridionale. Tra di esse, in funzione anti-cinese, va sottolineata la prossima esercitazione congiunta USA-Filippine al di fuori delle acque territoriali filippine, un chiaro esempio di che cosa sia la diplomazia: trattare e stabilire relazioni anche con le medie potenze per prevenire la loro alleanza con i più grandi rivali, con cui non ci si perita di non parlare e negoziare mentre li si minaccia nel contempo.
Una simile politica fu inaugurata con la teoria dell’equilibrio europeo tra sei e settecento anni fa e ancora oggi rimane un pilastro della logica delle relazioni internazionali atta a prevenire i conflitti. Può sconcertare solo gli ingenui o gli incolti che una simile logica stia ancora guidando i comportamenti delle grandi potenze. Esse non esitano a continuare una lotta ideologica e militare in determinate aree del pianeta mentre continuano a perseguire la logica appena esposta. È proprio questa contemporanea e solo apparente contraddizione a rappresentare l’essenza del lavorio diplomatico che è proprio delle grandi potenze e non delle medie o di quelle che hanno ambizioni imperiali ma non posseggono le qualità per esercitarle, e allora ricorrono a logiche diverse e nella maggioranza dei casi pericolose e distruttive dell’ordine.
Ne è un esempio preclaro e recentissimo il discorso pronunciato da Emmanuel Macron durante un evento alla Sorbona, che riecheggiava l’enfasi neogollista del precedente solenne suo intervento nello stesso luogo anni or sono: “Il blocco di 27 Pesi (costituiscono l’UE) – ha affermato – deve ripensare urgentemente i suoi modelli di difesa ed economici per non rimanere indietro rispetto ai suoi rivali… Il modello europeo rischia di essere ucciso dalla rivalità tra Stati Uniti e Cina e il prossimo decennio sarà decisivo per la sua sopravvivenza”.
Sette anni or sono Macron era stato appena eletto e oggi afferma che “le regole del gioco sono cambiate su diversi fronti, tra cui la geopolitica, l’economia e il commercio e la cultura. Dobbiamo essere lucidi sul fatto che la nostra Europa oggi è mortale. Può morire. Può morire e questo dipende solo dalle nostre scelte, ma queste scelte devono essere fatte ora”. La decisione di riaprire i siti industriali di produzione della polvere da sparo chiusi solennemente per motivi ecologici nel 2007 è ora rinnegata nell’enfasi del discorso del conflitto inter-imperialista che trascina alla guerra e alimenta il conflitto anziché porre l’enfasi – unitamente alla condanna della Russia – sulla necessità della trattativa e del cessate il fuoco quando meglio sarà opportuno.
In questo quadro di conati neo-nazionalistici a cui non corrisponde un’effettiva capacità di potenza – cosa assai diversa dalla volontà di potenza – spicca il diverso atteggiamento tedesco. La Germania ha sempre perseguito il dominio mondiale in tutta la sua storia, pur non riuscendo a essere una potenza talassocratica. Di qui la necessità inderogabile, tramontato il sogno africano ottocentesco, di perseguire il capitalismo integrato teutonico-russo-cinese, che costituisce la vera ragione delle sanzioni USA alla Russia e agli Stati europei che volessero perseguire una strategia di autonomia relativa dalla potenza USA. La recente trasformazione della NATO ne è una evidente conferma.
In questo panorama il viaggio recente di Olaf Scholz in Cina è un avvenimento eccezionale che pochi hanno sottolineato. Scholz a Pechino ha avuto un incontro di oltre tre ore con il capo dello Stato, Xi Jinping. I motivi di attrito non si sono nascosti. Xi si è dichiarato favorevole a una trattativa per risolvere la guerra in Ucraina: “Tutti dovrebbero sedersi a tavola, ma nessuno dovrebbe essere sul menu”, ha affermato sibillinamente. Ma il fatto straordinario è stata la sua affermazione in cui ha definito la Cina e la Germania la seconda e la terza economia del mondo, lasciando a intendere il superamento delle semplici relazioni bilaterali, evocando un ruolo comune importante sul continente eurasiatico e sul mondo intero.
I punti di attrito però sono ancora profondi, soprattutto in merito alla proposta tedesca di una conferenza di pace prevista a giugno in Svizzera a cui la Cina darebbe il proprio assenso solo se la conferenza fosse accettata sia dalla Russia che dall’Ucraina. Putin ha già respinto l’iniziativa svizzera a cui non è stato invitato. “In una nuova era di turbolenze e sconvolgimenti in cui aumenteranno i rischi per tutta l’umanità, per risolvere questi problemi è essenziale che la cooperazione tra le grandi potenze prenda il sopravvento”, ha affermato Xi, e per questo è importante una cooperazione stabile tra le grandi economie di Germania e Cina.
Del resto, entrambi i leader hanno sottolineato come le catene industriali di Cina e Germania siano profondamente intrecciate e i mercati altamente interdipendenti. La Cina teme, del resto, che vengano introdotte misure punitive, tariffe e restrizioni doganali in aree sensibili per la sicurezza e la tenuta di settori industriali essenziali tanto negli USA che nell’UE. D’altro canto gli industriali tedeschi (una delegazione dei quali era al seguito) premono per un’intensificazione dei rapporti con il mercato cinese. La crescita dell’economia tedesca dipende sempre più dalla Cina e questo è vitale per la stessa Europa, checché se ne dica nell’UE o nei circoli sanzionatori USA. Si è del resto osservato, da osservatori qualificati e riservati, “quanto sia difficile la danza che la Germania sta cercando di condurre: mantenere i legami economici con la Cina, gestendo al contempo le pressioni americane per allinearsi più strettamente a Washington contro Pechino. Già in passato, una danza analoga era stata messa in atto per conciliare la dipendenza energetica dalla Russia con quella militare dagli Stati Uniti, e non è andata a finire bene”.
Anche la Francia guerrafondaia macroniana non può far a meno di ricorrere al GNL e al petrolio russo, acquistato con un giuoco di triangolazione non evocato alla Sorbona. Un fatto che Macron dimentica, invocando l’economia di guerra a cui i capitalismi mondiali paiono avviati inesorabilmente, anche per sfuggire alla crisi economica. Naturalmente ciò costringerà a rivedere tutte le teorie ordoliberiste sul debito, che costituiscono l’essenza stessa della costruzione poliarchica e tecnocratica dell’UE.
Il mondo è pieno di contraddizioni. Ricordiamolo.
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