Siamo certi che le forze che si confrontano in queste Elezioni europee 2019 siano ciò che di esse si dice con insistenza su tutti i mass media? E ora anche con altrettanta insistenza nella cosiddetta “accademia”, oggi non più composta da élite studiose ed erudite come un tempo, ma da élite pubblicate e replicanti un sistema di discesa della cultura da alta a profondamente bassa perché fondata sull’immediatezza comunicativa anziché sullo studio pluriennale?



Il problema è cruciale ora che si avvicina sempre più il voto europeo. Chi assiste al dibattito elettorale non solo italiano, ma anche a quello delle altre nazioni europee, vede che il campo si contraddistingue per un insieme di forze tra cui spiccano gli italiani 5 Stelle identificati come populisti. Davvero sono anti élite e ribellisti? Si deve notare che in verità – come mi è toccato di dire ripetutamente – i fenomeni di creazione dall’alto di movimenti ribellistici in Europa, così come in altre parti del mondo, in primis oggi in Sud America, non hanno nulla a che vedere con il populismo. Non hanno organizzazioni sindacali e collateralismi di mezzo possenti, com’era nel caso degli storici populisti.



Il fatto è che coloro che si confrontano in Europa – erodendo lo spazio elettorale ai tradizionali partiti storici si massa – sono in realtà organizzazioni elitarie e oligarchiche quanto alla cuspide direttiva. Esse predicano non la ribellione contro le élite, ma invece la ribellione contro la politica. La politica intesa nel senso classico che a essa davano gli elitisti tra Ottocento e Novecento, Mosca, Pareto e Michels, ossia gruppi cetuali soggetti a circolazione e a riproduzione grazie all’avvento della democrazia elettorale di massa. Non si tratta delle élite del potere alla Wright Mills o alla Max Weber.

Chi si colpisce nel caso in questione sono i politici di professione e la politica in generale. Le caste, per i ribellisti, non sono i “ricchi”, ossia i capitalisti, gli oligarchi finanziari, i top manager, ecc. Di questi non si fa parola. Perché l’essenza è concepire la stratificazione sociale come un frutto distributivo, ossia di distribuzione della ricchezza, e non come frutto dei rapporti sociali di produzione con relativo neo-schiavismo capitalistico. La nuova religione dell’onestà è il corpo mistico di un nuovo Principe anti-politico. Infatti, i sacerdoti di questa nuova rivoluzione sono la quintessenza della non politica: giudici, magistrati, imprenditori, scelti come mentori, accademici intesi come supremi suggeritori più che educatori del nuovo Principe. Questo processo si sta disvelando contestualmente a un fenomeno che nella campagna elettorale si sta rivelando: la congruenza di questa ondata antipolitica con l’ordoliberismo europeo ossia con la religione mistica del debito come colpa e come peccato da evitarsi sempre.

Le ultime battute della campagna elettorale si stanno rivelando pienamente. Nessuno degli anti-casta critica la politica economica europea: nessuno contesta il ruolo della Bce e della stessa architettura europea. Si contesta la casta politica intesa come unico vertice a cui sacrificare ogni giorno nuove vittime. La quaestio in Italia appare esemplarmente. L’Italia, come sempre, anticipa i sommovimenti della post-democrazia liberale come del post-capitalismo. Prima con Mani pulite e le privatizzazioni senza liberalizzazione e oggi con l’apparizione di un’anti-politica ordoliberista di massa e ribellistica, come dimostra l’attacco dei 5 Stelle alla Lega accusata nel suo complesso di far parte della casta. Lo stato di diritto è già scomparso nella lotta politica che si fa sempre più aspra, durissima, sulla soglia dello scontro di civiltà con una violenza di linguaggio inaudita.

Le forze neo-nazionaliste della borghesia imprenditoriale e i lavoratori delle piccole e medie imprese che in Italia condividono il Governo con le forze anti-politiche sono sbalordite dinanzi a questo attacco, così come accade del resto in tutta Europa.

In taluni regni in transizione verso la post-democrazia – come l’Ungheria che esonda i mali storici delle piccole nazioni dell’Europa centrale, come István Bibó ci insegnò magistralmente nei suoi scritti – l’Ungheria, come del resto la Slovacchia e la Boemia e in fondo anche la Polonia, hanno risolto il problema unificando neo-nazionalismo e anti-politica, ma potevano farlo in polemica con il dominio tedesco (che assicura a quelle nazioni il carburante economico senza il quale si spegnerebbero… ironia della storia in carne e ossa), mentre in altre nazioni, come per esempio la Francia, tutto rimane diviso e anzi contrassegna il quadro politico. Emmanuel Macron altro non è che un 5 Stelle in vitro e quindi ben diretto, ma che ha avuto come obiettivo tutti i partiti tradizionali, scompaginandone le fila con la campagna acquisti e poi centralizzando il potere, mentre la destra à la Le Pen non è riuscita a far fronte a una superiorità di comando dei mezzi di comunicazione di massa e a una preparazione culturale indubbia che difficilmente la farà sopravvivere a lungo, perché altrove si intercetta il disagio disgregante dell’ordoliberismo (come i movimenti sociali francesi e i suicidi degli agricoltori francesi dimostrano).

Si tratta di un gioco di specchi che inizia tuttavia a vincere la sua battaglia. Si veda la trasformazione non risolta dei partiti socialisti europei. Chi tiene ferme le tradizioni socialiste è incapace di rinnovarle dinanzi al cambiamento in corso come accade in Germania e in Francia. Chi continua a contaminarle con le retoriche dell’ordoliberismo come in Italia porta in sé così forti contraddizioni che neppure il comando delle élite del potere di cui nessuno parla potrà risollevare le esigue forze socialiste dalla sconfitta.

Il Parlamento europeo rimarrà – proprio per quanto ho detto sin qui – sostanzialmente immutato quanto a poteri legislativi, ovvero dipendente dalla tecnocrazia che uccide la democrazia ed è il vero volto del non liberalismo. Il Partito popolare europeo infatti rimane in tal modo l’unico spazio di mediazione e di metabolizzazione di questo sommovimento. Riprendendo – come insegna la vicenda della Cdu e della Csu tedesca – il suo ruolo di forza capace di inglobare la destra e non di respingerla.

La svolta si impone anche per i neo-nazionalisti italiani: la Lega deve darsi come obiettivo di raggiungere il Ppe cercando lì e non altrove di mutare le politiche economiche europee. Solo così si combatterà l’antipolitica e una lotta per la vittoria elettorale potrà trasformarsi in una marcia per la trasformazione dell’Europa in ciò che non è: uno stato di diritto governato da una Costituzione che assicuri libertà nella solidarietà e nella prevalenza del principio parlamentare in una poliarchia tutta da costruire.