“Sarà un periodo economico complicato”, dice Matteo Salvini nei commenti a caldo del travolgente successo che gli ha permesso di contabilizzare il raddoppio dei consensi espressi dagli italiani per la sua Lega nazionale. Complimenti per la lucidità, ma allora – trovandosi – si potrebbe fare un passo in più. Si potrebbe dire che le promesse economiche in nome delle quali la Lega ha vinto – oltre che per le garanzie offerte, ma soprattutto a loro volta promesse sul piano della sicurezza – si scontreranno in casa e in Europa con una realtà complicatissima e ostile, un sostanziale muro di gomma.
Quella rivoluzione delle istituzioni europee che Salvini auspicava infatti non c’è stata. Il quadro parlamentare a Strasburgo si è semmai complicato. La maggioranza resterà socialdemocratica pur dovendo avvalersi dell’appoggio dell’Alde, il che non cambierà l’impostazione rigorista di fondo, ma si limiterà ad allargare un po’ il bacino dei consensi necessari per andare avanti. Le Pen e Farage in un simile quadro continueranno a essere attori comprimari ma irrilevanti. Quindi è impensabile, in queste condizioni, che la filiera decisionale, peraltro lunga e lenta, che da Strasburgo arriverà a fine anno alla Commissione europea e in qualche modo anche alla Bce possa strizzare l’occhio alla manica larga necessaria al Capitano per fare una finanziaria con il deficit al 3,5 o al 4%.
La flat tax è, sì, una formula cara ai Paesi sovranisti teoricamente vicini alla Lega (ma in pratica vicini solo a se stessi, se no che sovranisti sarebbero?), ma determina nell’immediato un calo del gettito che l’Italia non è assolutamente in grado di fronteggiare esponendo in bilancio la previsione di entrate compensative: come potrà mai, il Capitano, ottenere la luce verde europea su una misura simile? Quota 100 – che per fortuna sta costando all’erario un po’ meno del temuto – come potrà essere confermata allo scadere dei due anni di test in un’Europa che non avrà nel frattempo rivisto il totem del 3% di rapporto massimo deficit/Pil?
Ecco perché il vincitore delle elezioni europee ha davanti a sé un percorso a ostacoli che fatalmente coinvolge il Paese e soprattutto la sua economia. C’è un fronte tutto italiano, ed è quello di un Parlamento che riflette il voto politico del 2018, con rapporti di forza ribaltati tra i due partiti di governo rispetto agli attuali. Un anno fa guidavano i grillini, oggi i leghisti, ma a Montecitorio e a Palazzo Madama, in aula, i numeri sono quelli di un anno fa e non sono cambiati. Come riuscirà, Salvini, a “fare la Tav”, che nel contratto di governo non c’è se non previa verifica dell’equilibrio costi-benefici? E in generale a rilanciare gli investimenti?
Il reddito di cittadinanza è stato fatto, ma potrà mai Salvini ridurne il costo riscrivendolo per finanziare la flat tax? È impensabile, anche perché i Cinquestelle non potranno indugiare nemmeno un giorno a cambiare marcia se non vorranno votarsi a sparizione assoluta, e metteranno quanto prima in mora Di Maio, ribaltando gli equilibri interni a favore dell’asse di sinistra Fico-Di Battista, propensa semmai a immaginare un tandem con il rinato Pd, ma non certo a sciogliere le briglie a Salvini.
Dunque nessuna schiarita politica, sull’Italia e sulla sua economia. E verosimilmente una fase chissà quanto lunga di turbolenza sui mercati.