Secondo Stefano Folli “la campagna elettorale per le europee è già cominciata e questo non è positivo” per la stabilità politica in Italia. Il commentatore di Repubblica lo ha annotato – non a torto – per segnalare la postura relativamente inerte del Pd di Elly Schlein: più preoccupata di catturare voti (ex) M5s in vista dell’euro-voto proporzionalista del giugno 2024 piuttosto che di impostare una reale opposizione “qui e ora” al governo Meloni. Tuttavia i condizionamenti della democrazia elettorale non paiono un connotato contingente della politica italiana: tanto meno in una fase epocale di scontro di civiltà fra democrazie e autocrazie.
Basta alzare un po’ lo sguardo per osservare anzitutto il persistente ritardo nell’avvio della stra-annunciata controffensiva di primavera delle forze armate ucraine contro quelle russe. È evidente che – se mai essa avrà luogo – non potrà che partire con il disco verde degli Usa. E il semaforo di Washington – finora – è rimasto rosso, principalmente per lo stallo parlamentare (cioè massimamente democratico-elettorale) sul tetto all’indebitamento federale.
L’amministrazione Biden – quando mancano 17 mesi alle nuove presidenziali – vuole aumentare debito e spese, anche per sostenere la Nato in Ucraina. I repubblicani, naturalmente, si oppongono. Tutto si risolverà prevedibilmente sul filo di lana del 1° giugno, scadenza di un clamoroso quanto improbabile default degli Stati Uniti.
Nessuno, nel frattempo, si sta però lamentando dei lacci e laccioli di una lunghissima campagna già iniziata per la Casa Bianca. Anzi: dalla stessa Ucraina cominciano a giungere proprio in questi giorni segnali di minor rigidità verso un possibile “percorso di pace”. Kiev è la prima a sapere che Biden non può e non vuole affrontare l’anno delle elezioni con un teatro ucraino ancora “caldo” e con l’economia globale (compresa quella americana) ancora scossa da inflazione e recessione da guerra. Una campagna elettorale molto anticipata negli Usa può dunque sbloccare la crisi russo-ucraina, iniziata e impantanatasi nella stabilità del primo biennio della presidenza Biden.
Cinque mesi prima del fatidico primo martedì di novembre dell’anno prossimo, comunque, più di 400 milioni di aventi diritto nei 27 Paesi membri della Ue rinnoveranno l’europarlamento. Appuntamento a lungo giudicato di secondo livello, si profila oggi come il più importante dal 1979. L’Unione Europea è a un bivio di sopravvivenza e il crogiolo elettorale non appare un fastidioso diversivo rispetto al decision making – un po tecnocratico e un po’ oligarchico – della Commissione e del Consiglio dei capi di Stato e di governo. Al contrario: da metà 2024 chi vorrà incidere e decidere nella Ue dovrà accreditarsi con un risultato elettorale. Come impone una democrazia funzionante, soprattutto oggi.
Forse per questo un singolare filone di campagna elettorale nella Ue – giudiziario in senso lato – è cominciato con largo anticipo e appare in piena escalation. Il cosiddetto Qatargate è stato scatenato lo scorso dicembre dai magistrati belgi ed ha avuto come obiettivo europarlamentari del gruppo socialdemocratico (S&D): anzitutto l’ex dem italiano Antonio Panzeri, poi la la greca Eva Kaili (vicepresidente a Strasburgo) e il deputato belga Marc Tarabella. Tutti oggetto di pesanti accuse su finanziamenti illeciti da parte di Paesi del mondo arabo.
Un contraccolpo – non inatteso – sull’altro grande partito europeo (il Ppe) si è materializzato un mese fa, quando poliziotti belgi e tedeschi hanno perquisito il quartier generale dei Popolari a Bruxelles. L’azione, a quanto è stato dato di sapere, era collegata a un’inchiesta in corso in Germania contro un leader locale della Cdu. Quest’ultimo sarebbe sospettato di fatti corruttivi risalenti al 2019: quando – in occasione dell’ultimo euro–voto – operava per il Ppe a Bruxelles. E allora il candidato di punta degli europopolari era Manfred Weber (democristiano bavarese), rimasto a Bruxelles come leader del Ppe.
Weber è stato finora il leader politico Ue più attivo nella “lunga campagna” Ue24. Forte di un non disprezzabile risultato elettorale, nel 2019 è stato bruciato sul traguardo della presidenza della Commissione dalla connazionale e compagna di Cdu-Csu Ursula von der Leyen (ministro nell’ultimo gabinetto Merkel). Ora Weber cerca riscossa: è al lavoro da mesi per creare una coalizione moderata che consenta al Ppe di giocare da posizioni di forza con socialisti, liberali e verdi la partita della nuova Commissione. E il suo candidato non è certamente von der Leyen, che sarebbe lusingata per una possibile riconferma soprattutto dal governo rossoverde di Berlino. Sia o no il prossimo “spitzenkandidat” Ppe l’attuale presidente dell’europarlamento, la maltese Roberta Metsola, Weber ha già messo in cantiere un’operazione politica di primo livello: una possibile alleanza con Ecr, il partito “riformista e conservatore” presieduto da premier italiano Giorgia Meloni. E la reazione “para-giudiziaria” non si è fatta attendere.
È stato politico.eu – testata online “transatlantica”, oggi parte del gruppo tedesco Springer, controllato dal fondo americano Kkr – a rivelare con molta evidenza un’indagine avviata “dal Parlamento europeo” contro Assita Kanko, deputata belga a Strasburgo. Kanko, 42 anni, giornalista originaria del Burkina Faso, sarebbe stata oggetto di una denuncia per molestia, proveniente da un suo collaboratore a Strasburgo. Benché manchino conferme, l’indagine avrebbe già superato la fase preliminare presso la Presidenza del parlamento Ue, dove – oltre a Metsola – 12 vicepresidenti su 14 sono espressi da Ppe, S&D, Renew Europe (liberali) e Verdi.
Kanko è stata eletta invece nel 2019 sotto le insegne del N-Va, partito nazionalista fiammingo che aderisce a Ecr. E nel “contenitore europeo” presieduto da Meloni, Kanko è uno dei vicepresidenti in carica del gruppo parlamentare. Un volto non certo politicamente anonimo. N-Va – guidato da Theo Francken – è noto per le sue posizioni rigoriste sul fronte dell’immigrazione illegale. Posizioni apertamente condivise dall’immigrata Kanko, in quanto avversaria dichiarata del traffico di esseri umani alimentato dal continente africano: in particolare di ogni forma di violenza o sfruttamento contro le donne. La “Mep” belga si presenta quindi – anche solo in fase inquirente – un bersaglio ideale per colpire la credibilità di Ecr, che bussa alle porte della stanza dei bottoni Ue.
Ma che la lunga campagna elettorale insidiosa per Meloni sia quella del giugno 2024 lo avevano confermato gli insistenti attacchi provenienti dalla Francia di Emmanuel Macron: il vero leader di Renew Europe, che si candida a essere il vero ago della bilancia nella costruzione della futura governance dell’Unione.
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