Marine Le Pen spera che gli elettori chiamati a esprimersi per il Parlamento Ue diano una lezione a Macron. E, a vedere i sondaggi, nonostante la Francia non si scaldi molto per il voto europeo, ci riuscirà: potrebbe addirittura doppiarlo, ottenendo il 33% dei consensi. Il presidente francese, spiega Francesco De Remigis, già corrispondente da Parigi ed esperto di politica internazionale per Il Giornale, paga il declassamento del rating della Francia da parte di S&P ma anche le sue posizioni iperbelligeranti in relazione alla guerra in Ucraina, soprattutto ora che la sua rivale ha condannato l’invasione della Russia prendendo di fatto le distanze da Putin, con il quale era accusata di avere dei legami. Insomma, per Macron si prepara una disfatta. Mentre il Rassemblement national in prospettiva europea potrebbe avvicinarsi a Fratelli d’Italia, magari votando certi provvedimenti insieme ai popolari. Nessuno in Francia parla più di uscire dalla UE, ma tutti vogliono cambiarla.
Quanto è sentita la campagna per il voto europeo in Francia e su quali temi si sviluppa?
L’istituto francese Elabe prevede una partecipazione tra il 48% e il 52%, un livello paragonabile alle europee 2019. C’è una certa mobilitazione, non grande entusiasmo. Dominano le questioni nazionali: i prezzi delle bollette, il potere d’acquisto. E si rischia un terremoto post-voto.
È un referendum Macron-Le Pen?
Marine Le Pen sta provando ad andare in questa direzione, ma c’è un terzo incomodo, il capolista socialista Raphaël Glucksmann, che potrebbe sfilare il secondo posto alla candidata macroniana. Sempre Elabe spiega che un elettore su tre potrebbe cambiare idea, in particolare a sinistra. Rischiano di più i liberali del Capo dello Stato. Macron si è fatto immortalare nei volantini con la sua capolista Valérie Hayer, e andrà in TV. Ma è tardi, il declassamento del rating della Francia da parte di S&P è stato il colpo finale.
Il Rassemblement national rischia di doppiare il partito del presidente?
A questo punto è quasi una certezza. Anche perché gli altri non sono riusciti a sfondare, schiacciati dal duello tra la lista del presidente e quella del Rassemblement national.
Quali sono le armi vincenti: la candidatura di un giovane come Bardella, scelte più moderate rispetto alla vecchia destra?
Le Pen non è candidata, ma fa campagna e chiede ai francesi di usare il voto per dare a Macron la peggior batosta della vita: tutt’altro che moderata nei toni. Bardella, il frontman, in caso di vittoria schiacciante chiederà domenica stessa lo scioglimento dell’Assemblea nazionale, che però non sarà concesso da Macron.
Bardella ha sfidato in TV anche il premier Attal, com’è andata?
Non è uscito benissimo, il suo seguito è però ampio e più trasversale di quanto si pensi, anche su TikTok. Dice di voler cambiare le istituzioni europee senza destabilizzarle. Accusa Bruxelles di decidere regole che fissano i prezzi dell’energia, che collegano il prezzo dell’elettricità francese a quello del carbone o del gas tedeschi. Nel programma ha l’uscita da queste regole, così che, dice, la Francia possa trovare un prezzo nazionale per l’elettricità. Rappresenta un pensiero fortemente identitario e ha un vantaggio quando si parla di immigrazione e di sicurezza.
Come si spiega questo vantaggio?
Viene dalla banlieue, ha un percorso che molti giovani in Francia potrebbero intraprendere. Sappiamo che non accade spesso, ma ciò gli permette di sostenere che è possibile nascere in un quartiere difficile e scegliere un percorso di crescita nella République anziché destabilizzarla cedendo alla delinquenza, all’islam radicale o al traffico di droga, che in Francia è una piaga anche tra i minorenni.
Si può fare un parallelismo fra i cambiamenti del Rn e quelli di Fratelli d’Italia?
Certo, in prospettiva. Anche se Meloni non ha cambiato le sue idee, ha pragmaticamente adattato l’azione di governo alle incombenze, alle crisi internazionali schierandosi in difesa dell’Ucraina e partecipando in sede UE alle discussioni per cambiare ciò che non ha funzionato, come il Green Deal o il Patto Asilo e Immigrazione. Le Pen si limita a fare opposizione a questa Ue, non avendo mai vinto le presidenziali.
È possibile un avvicinamento Le Pen-Meloni e tra i loro due partiti?
Non credo siano incompatibili, anche se le differenze ci sono. Prematuro fare previsioni, ma l’ipotesi di una destra conservatrice e una identitaria che su certi provvedimenti voti con i popolari, sul modello italiano, non è fantasia. Un avvicinamento da parte di Le Pen c’è stato quando ha sbattuto la porta ai tedeschi di AfD, la vera estrema destra che nessuno con l’ambizione d’avere un ruolo in Ue vuole accanto. Le due destre di Meloni e Le Pen potrebbero lavorare col Ppe, attirando su singoli dossier i voti dei liberali.
La sinistra è riuscita a ritagliarsi uno spazio?
La sinistra si è distinta nello stigmatizzare la guerra di Israele nella Striscia di Gaza contro Hamas, senza chiari distinguo tra palestinesi e terroristi. I deputati della France Insoumise hanno chiesto a Macron di riconoscere lo Stato palestinese. Hanno promesso di farlo ogni settimana. Puntano a superare almeno il 6%, perché il socialista Glucksmann è riuscito a imporsi, ma la sua svolta è tutta da verificare. Solo il 53% dei suoi potenziali elettori si dice sicuro della scelta. Qualcuno potrebbe virare sull’estrema sinistra di Mélenchon, altri su Macron o sui verdi che galleggiano al 5% sfidando la soglia di sbarramento.
Le posizioni di Macron sulla guerra in Ucraina, con l’assenso a un eventuale invio di truppe francesi e all’uso delle armi contro obiettivi in territorio russo riscuotono consensi?
Certamente hanno permesso a Le Pen di pungere il presidente, raccontando ai francesi che Macron vuole la Francia in guerra con la Russia, ingenerando apprensione ma pure dibattito. Le Pen ha stigmatizzato quei “meccanismi” a cui lei si opporrebbe; a tutto ciò che potrebbe creare il rischio di un conflitto globale, dunque non solo all’idea di inviare uomini ma anche di permettere a Kiev di sparare sul territorio della Federazione Russa con armi occidentali. Macron, alzando i toni anti-Putin, sperava di intrappolare i lepenisti ricordando i legami passati con Mosca, ma Le Pen ha cambiato posizione, spiazzando la maggioranza con una chiara condanna dell’invasione russa. Lo ha fatto a marzo e, pur astenendosi sull’accordo bilaterale di sicurezza Parigi-Kiev, ha espresso per la prima volta chiaro sostegno “alla nazione ucraina aggredita”.
Come vede la guerra l’opinione pubblica?
La percentuale di favorevoli al sostegno armato a Kiev è crollata di oltre 10 punti rispetto a giugno 2023, ma resta al 40%. Più di 6 francesi su 10 ritengono Putin una minaccia. Le Pen chiede di trovare la strada del dialogo con la Russia. Macron, dopo la moral suasion con la Cina, per una tregua olimpica naufragata sul nascere, sostiene che Putin non debba vincere. Ha ceduto alla linea americana bocciando perfino l’invito ai russi alle celebrazioni degli 80 anni del D-Day. E subisce azioni intimidatorie come le bare alla Tour Eiffel e fake news provenienti da gruppi vicini a Mosca che provano a destabilizzare la Francia in vista dei Giochi.
È tornata d’attualità la protesta dei trattori. Un segnale che c’è sempre un po’ di diffidenza verso la Ue?
Non c’è più lo spettro dell’idraulico polacco che alimentò l’ondata di antieuropeismo generando il no del 2005 alla Costituzione europea. Di Frexit vera e propria non parla più nessuno a destra, il dibattito è sulla troppa burocrazia Ue, sulla mancata attenzione alla vita reale dei cittadini, dei produttori, degli imprenditori, degli agricoltori e degli allevatori. Più che diffidenza, mi pare voglia di cambiamento. Lo chiedono tutti, anche Macron!, che spinge per investire su riarmo e industria europea. Resta altissima, tuttavia, la percentuale di francesi che non segue le dinamiche di Bruxelles: non interessano affatto.
(Paolo Rossetti)
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