“La vittoria dell’Ucraina all’Eurovision 2022 è una pagliacciata”, dicono tanti sui social. Una vittoria preparata a tavolino, aggiungo altri ancora. Vergogna, squallido, ruffiani, viene scritto. Che la canzone della Kalush Orchestra non fosse granché ci sta tutto, ma d’altro canto l’intero Eurofestival 2022, con l’eccezione forse del brano della cantante portoghese Maro, Saudade suadade (che comunque ha sfruttato furbescamente l’unica cosa che ha reso popolare – abbastanza – la musica del suo paese, appunto il sentimento di “saudade”, nostalgico rimpianto, considerato caratteristica spirituale del popolo portoghese) a livello musicale è stato di bassissimo livello, una omologazione a base di musica dance pop electro stile anni 80 tutta uguale.
No, gli ucraini hanno vinto per via della guerra che si combatte a casa loro. Sarebbe interessante analizzare se si sia trattato di autentica solidarietà o senso di colpa da parte di chi la guerra non l’ha mai vista. Ma è andata così. Il voto è libero (concetto per molti ormai superfluo) e la gente lo ha usato per dire qualcosa di più importante. O è proprio questo che urta chi critica la loro vittoria?
Certo, come ha detto qualcun altro, i benestanti e tranquilli europei “per dare un segnale” hanno fatto vincere all’Ucraina un un concorso musicale trash che più trash non si può, ma chi se ne frega? Hanno gioito, per una sera si sono dimenticati della loro tragedia, l’Europa ha dimostrato di avere ancora dei sentimenti e quindi va bene così.
Parliamo piuttosto del sesto posto di Mahmood e Blanco, dati per vincitori, e finiti in basso. Tutti i giornali in coro avevano mostrato la propria eccitazione nel parlare di tale evento. Due tizi che hanno fatto man bassa di tutti gli stereotipi oggi più alla moda, simulando una sorta di coppia omoerotica. Sono giunti a Torino in monopattino, in ottica green, e in gonnellina, in salsa gender, per poi cantare un brano che musicalmente vale pochissimo. Forse loro non lo sanno, ma sono stati usati per vendere alle future generazioni nuovi modelli umani.
Stendiamo un velo infine sulla penosa esibizione dei Maneskin che hanno avuto il coraggio di cimentarsi con uno dei brani più immortali e superlativi della storia della musica del Novecento, quella If I can dream dedicata a Martin Luther King (ma chissà se loro sanno chi sia) di cui Elvis Presley fece una interpretazione trascendentale, qualcosa che rimane nel cosmo della bellezza con la B maiuscola. Damiano non ha saputo cantarla, cercando di trasformarla nel suo stile isterico e sciatto, massacrandola. Un po’ di umiltà no? Ma è un valore cancellato in questi tempi idioti in cui viviamo. Alla fine della fiera, viva la Kalush Orchestra.