“Finché ci sono sesso e droghe, posso fare a meno del rock’n’roll”. Non so voi, ma quando ho guardato un po’ dell’EuroVision Song Contest e soprattutto l’esibizione dei vincitori, i nostri Maneskin, non ho potuto che pensare al leggendario film, l’inventore del genere “mockumentary” (il falso documentario, dall’inglese) This is Spinal Tap, da cui è tratta la frase posta all’inizio (ah, i Maneskin non si drogano, come dimostrato dal test a cui si è sottoposto il cantante e dalle loro dichiarazioni).



Come dite, non lo conoscete? E’ probabile, in Italia non è mai stato distribuito, ma all’estero ha fama da decenni. Gli Spinal Tap, la band-parodia che incarna ogni stereotipo del metal/rocker incallito e della star capricciosa, sono ormai leggenda da quando il film uscì nel 1984. L’idea nasce da una conversazione sentita per davvero negli anni 70 tra un bassista di una rock band e il suo manager (Manager: Ok, allora adesso possiamo portare gli strumenti in camera. Bassista: Non so dov’è il mio basso. Manager: Scusa? Bassista: Non so dov’è il mio basso. Manager: E dove potrebbe essere? Bassista: Penso sia all’aeroporto. Manager: Non pensi sia meglio che tu ritorni la? Bassista: Non saprei, devo proprio? Manager: Penso che ti convenga. Bassista: Dov’è il mio basso? Manager: E’ all’aeroporto) che rappresenta la discreta dose di stupidità che è presente, anche se non vogliamo ammetterlo, nei nostri idoli rock. Racconta la storia di un gruppo che ha attraversato gran parte della storia del rock, fino agli anni 80, quando ormai sono stati dimenticati da tutti. Per ritrovare successo diventano una improbabile band di metallari, che vengono lanciati come “la band più rumorosa al mondo” tanto da pretendere che i loro amplificatori che come tutti arrivano al livello massimo di 10, suonino al numero 11. Il risultato è talmente credibile che in molti, ai tempi dell’uscita del film ma anche successivamente, si sono lasciati ingannare dalla maestria e dalla creatività del mockumentary e dei tre membri dei Tap, che sono effettivamente degli abilissimi musicisti.



A me, senza offesa, i Maneskin ricordano gli Spinal Tap. Mi fanno ridere.  Con quel look sapientemente studiato che prende un po’ qua e un po’ là da tanti illustri predecessori (da David Bowie ai Queen) e le loro mosse così perfette che sembrano studiate davanti a vecchi video di Led Zeppelin e Who, saltelli inclusi, è difficile pensarli credibili, manca loro qualunque autoironia necessaria per ogni sano gruppo rock (i Rolling Stones con le loro bambolone di gomma sul palco o quando Jagger cavalcava un enorme fallo gonfiato si prendevano in giro da soli). Certo, come sottolineano tutti, si sono fatti le ossa per la strada, cominciando a suonare sui marciapiedi di Roma (nessuno dice che per la loro corsa al successo ne hanno tentate di tutte, dal rock al semi-rap all’indie pop). Ma poi hanno scelto la scorciatoia facile dei talent show e dei festival televisivi, come quello di Sanremo e l’Euro festival, dove l’apparenza è tutto e dove, con un po’ di fortuna, si viene catapultati in alto.



Non voglio dire che loro non si divertano e che non fanno tutto questo per una sana passione rock. Ma non sono neanche quei “mostri” musicalmente parlando che tutti dicano siano. Mi piace solo il batterista, bello tosto, rumoroso, con un gran tiro. Immagino che per chi è un teenager possano fare un altro effetto, ma poi quando – e se – scoprirà la musica di 40 anni fa ci rimarrà male? Come quando abbiamo scoperto che Babbo Natale in realtà non esiste? Chi può dirlo.

Un amico su FB ha scritto: “Non mi ricordo più chi vinse il festival di Woodstock”. Ecco. C’è una grande differenza da quello che erano i festival di un tempo dove non si faceva “a gara” sgomitando come oggi. Che brutto ridurre la musica a una competizione per alzata di mano. Per non parlare del campanilismo quasi l’Italia avesse vinto la Coppa del Mondo (vale anche per i francesi, sia chiaro eh), della nostra immagine quasi il Pil italiano grazie a questa vittoria tornerà a livelli elevati. Un noto artista ormai un po’ bollito, parla di “eccellenza italiana, il mondo si è finalmente accorto di noi”. Siamo così umiliati dalla nostra politica che abbiamo bisogno di vincere un Euro Festival per sentire rinascere l’orgoglio patriottico? Siamo così disastrati economicamente da aver bisogno di una canzoncina quando il nostro made in Italy vende in tutto il mondo?  E certe frasi che odorano di razzismo, tipo “finalmente all’estero non ci conosceranno più per pizza e mandolino”? Io sono fiero della pizza e del mandolino.

Ma non voglio parlare troppo di loro. Spero e gli auguro abbiano tutto il successo del mondo, anche se oggi, lo sa anche mia nonna, i dischi non si vendono più e gli streaming contano relativamente. Vorrei soffermarmi sulle lodi giunte da musicisti e critici musicali ben over i 60. Non ho letto alcuna dichiarazione altrettanto entusiasta da nessun loro coetaneo.

Come diceva il più noto critico musicale americano, Greil Marcus, già vent’anni fa: “C’è davvero un gran mucchio di spazzatura in giro, e molti critici musicali la lodano sia perché hanno paura di non apparire abbastanza in gamba, oppure vecchi, o perché pensano che un abbraccio alla spazzatura farà di loro dei super competenti”. Aggiungendo (e facciamocene una ragione, ragazzi, è così, smettiamola di pontificare): “Non che i critici musicali abbiano una qualche importanza qui, o altrove”. Un notissimo critico musicale di uno dei due quotidiani più importanti d’Italia ha detto che “Ci sono tanti gruppetti rock, ma una cosa del genere (come i Maneskin, ndr) proprio non la vedo.” Aggiungendo: “il nuovo underground parla un’altra lingua: è tutto rap e trap”. A parte che la trap e il rap non sono underground e che dire altezzosamente “ci sono in giro tanti gruppetti rock” è abbastanza maleducato nei confronti di questi gruppi, forse se questo signore frequentasse i bar puzzolenti e le cantine invece di andare sponsorizzato e gratis ai concerti degli artisti che passano le case discografiche, scoprirebbe che ci sono in giro in Italia centinaia di ottimi gruppi rock che però rifiutano la logica dei contest televisivi e dei festival nazional popolari. Firse varrebbe la pena ricordarsi dei Linea 77, attivi dal 1993, che hanno inciso per una etichetta inglese e ai quali nel 2001 Mtv Europe dedicò loro un intero programma e l’anno dopo un tour durato durato due anni in tutta Europa si esibirono all’Heineken Jammin’ Festival di Imola e al Reading Festival  in Inghilterra.

E’ come se la vittoria dei Maneskin fosse servita più a loro – ai critici e ai vecchi artisti – per ritrovare una immagine ormai impallidita e impolverata di se stessi. Si è arrivati anche agli insulti, come quelli di un ex membro di una delle rock band italiane più famose degli anni 80 che su FB ha scritto: “E ora rosicate e tacete fighettini alternativi benpensanti fintirockers esperti critici puzzoni con puzzetta sotto al naso snob… che niente avviene a caso! Che vi piaccia o meno, questi hanno talento e sono bravi”. Ok ma stai calmo.

Insomma, sembra che oggi, nella musica come in tutto il resto, uno debba seguire il pensiero dominante o è un c…ne che non capisce nulla. Dice un altro: “Perdonatemi, voi che credete di sapere tutto, del senso della musica non avete capito veramente un c…zzo.” Hai capito tutto te. Non siamo al livello dei bambini di terza elementare con questo linguaggio? Mah.

Alla fine di tutto, buona fortuna Maneskin, spaccate tutto (anzi, spakkate come si dice oggi) ma siamo sicuri che non state facendo loro più male che bene con tutta questa esaltazione? Sapranno gestirsi, in tutti i sensi? Dove saranno tra trenta o quarant’anni? Boh. Io intanto non ci sarò più, sono già vecchio adesso, e mi ritiro dietro le quinte. Mi taccio. Long lives rock’n’roll.

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