Quella di Ancona è la prima volta in Italia in cui la “sentenza Cappato” sull’eutanasia viene applicata dalla giustizia ordinaria: il Tribunale civile di Ancona, dopo il reclamo avanzato dal 43enne marchigiano tetraplegico (Mario, immobilizzato da dieci anni per un incidente stradale) ha obbligato l’azienda sanitaria locale (Asur) ad aprire un percorso sanitario al fine di verificare se sussistano i requisiti stabiliti dalla Corte Costituzionale nel 2019 (per l’appunto, la sentenza Cappato sul caso Dj Fabo) affinché possa andare in Svizzera a morire.
Lo fa sapere l’Associazione Luca Coscioni dopo che in un primo momento il 43enne paraplegico si era visto negare dall’azienda sanitaria l’istanza di suicidio assistito: dopo l’assoluzione di Mina Welby e Cappato sul caso di Davide Trentini, ora la vicenda di Ancona vede per la prima volta applicata la sentenza della Consulta su un caso dove Marco Cappato non è direttamente coinvolto. Non si tratta di un vero e proprio via libera all’eutanasia in Italia, bensì «garantisce all’uomo il diritto alla valutazione delle sue condizioni in vista di un eventuale suicidio assistito».
EUTANASIA IN ITALIA, ESULTA L’ASSOCIAZIONE COSCIONI
L’azienda sanitaria dovrà ora valutare, spiega ancora l’associazione dei radicali, se il reclamante «sia persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili; se lo stesso sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli; “se le modalità, la metodica e il farmaco (Tiopentone sodico nella quantità di 20 grammi) prescelti siano idonei a garantirgli la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile (rispetto all’alternativa del rifiuto delle cure con sedazione profonda continuativa, e ad ogni altra soluzione in concreto praticabile, compresa la somministrazione di un farmaco diverso)». Si tratta di una prima volta in Italia e per Cappato & Co. rappresenta un’iniziale vittoria verso una vera e propria legge che normi l’eutanasia legale: Mario (ricordiamolo, nome di fantasia) ci ha messo «10 mesi passando per due udienze e due sentenze, per vedere rispettato un suo diritto, nelle sue condizioni», spiega la segretaria dell’associazione Coscioni, Filomena Gallo, «non è possibile costringere gli italiani a una simile doppia agonia. Occorre una legge. Per questo a fronte di un Parlamento paralizzato e sordo persino ai richiami della Corte costituzionale è necessario un referendum». Nei prossimi mesi nelle piazze di tutta Italia i radicali chiederanno di unirsi alla battaglia di Mario e degli altri coinvolti, «persone che vogliono potere scegliere come morire, ma son costretti o a impegnativi viaggi all’estero o terminare la propria vita in un dolore che non vogliono sopportare».