Alain Cocq entra di diritto nell’elenco delle storie che portano ad una perversione della coscienza collettiva circa la morte, affermando la possibilità dell’azione diretta dell’uomo nel dare la morte ad un altro uomo per motivi compassionevoli, determinati dallo stato di dolore e di strazio del moribondo stesso. Potrebbe concludersi così il commento su una vicenda che – da sola – è rappresentativa di un’epoca e di una trasformazione della società, se non fosse che Alain Cocq, la cui malattia è sconosciuta alla medicina e consisterebbe in una serie di piccole ischemie che bloccano l’irrorazione sanguigna portando gli organi ad un progressivo collasso, ha dapprima chiesto la morte compassionevole e poi, non ottenendola neppure nella laica Francia di Macron, ha preteso di potersi lasciar morire in diretta Facebook, incontrando la contrarietà della società di Zuckerberg i cui rappresentanti d’oltralpe, in una nota, hanno esplicitamente affermato che non possono essere diffusi sulla piattaforma contenuti che in qualche modo possano incitare al suicidio.
Proprio tutti questi elementi – Facebook, la diretta, la legge francese, il cosiddetto diritto di Cocq (che per inciso si professa cattolico) a lasciarsi morire – rendono necessarie alcune osservazioni per sfuggire sia al partito degli inevitabilmente scandalizzati sia a quello degli irriducibili individualisti.
Cocq è un uomo malato: la malattia, da un lato, mette di fronte alle grandi questioni dell’esistenza, dall’altro cerca di difendersi dal dolore che ne consegue. Poter usare la propria morte come un messaggio è qualcosa che offre al malato un ultimo approdo di senso, uno spazio in cui riconoscersi una dignità che la malattia stessa tenta di estirpare. Il dramma di Cocq è di cercare quel senso nella solitudine, nell’affermazione della propria volontà e del proprio dolore e non nell’ammissione di impotenza che invece caratterizza il nostro essere uomini.
Cocq cerca dignità nella potenza di un gesto e non nella sproporzione di una condizione che gridi il proprio bisogno di amore e di compagnia.
Per questo sono tanti coloro che corrono dietro all’autodeterminazione che promana da una simile posizione: perché tutti cerchiamo senso e dignità al nostro dolore e per tutti è più facile trovarlo in un atto eroico e titanico che in un pianto drammatico in cerca di un abbraccio. Cocq vuole qualcuno che lo guardi, che lo segua, che spezzi il non senso della propria solitudine.
Accanto a lui emerge quindi tutto lo spazio per volergli bene, per non lasciarlo solo nel suo grido, per stargli vicino nella lunga resa alla malattia che non è mai questione di un attimo, ma strada lunga e tortuosa non sempre accompagnata da serenità. Cocq siamo tutti noi. Alla ricerca di un rapporto che ci dia valore, che ci dia verità. Anche nell’ora del nostro ultimo respiro.