Di chi è un bambino? La domanda risuona tra alcune righe dimenticate delle cronache britanniche per un dodicenne, anche questa volta di nome Archie, per cui un tribunale di Sua Maestà ha ordinato di interrompere i procedimenti sanitari che ne garantiscono la sopravvivenza.
Il piccolo è stato trovato dai genitori privo di conoscenza in casa, nell’Essex, lo scorso 7 aprile. Da allora i medici del Royal London Hospital hanno maturato la convinzione che per lui non ci sia più nulla da fare e hanno ritenuto sproporzionata la continuazione delle cure atte a tenerlo in vita.
I genitori, in particolare la madre, non si sono dati per vinti: ne è scaturita una battaglia legale che ha portato l’Alta Corte di Londra a pronunciarsi a favore delle scelte indicate dall’équipe medica. Ma la mamma di Archie non demorde: “Il mio istinto di madre mi dice che Archie è ancora qui – dichiara la donna –: non basta una diagnosi di morte probabile”.
E così le giuste convinzioni di una madre si mischiano ancora una volta ai desideri della vita, alla fatica di salutare chi ci sta accanto, alla paura di scoprire come potrebbe essere una vita senza di lui. D’altra parte le legittime preoccupazioni del sistema sanitario statale diventano pretesa di possesso e di gestione di un’esistenza che non sta nelle disponibilità di nessuno e il compito di amministrare il delicato processo di costi-benefici si trasforma in un potere di vita e di morte che non può appartenere ad alcuno Stato. Nessuno tocchi Archie, chi lo ama si prepari a lasciarlo andare.
Di chi è un bambino? Dei genitori, che lo hanno ricevuto dal cielo e al cielo si preparano ad accompagnarlo? Della comunità, impersonata dallo Stato, che lo ha ricevuto in custodia dalla famiglia e che alla famiglia deve sempre rivolgersi per trattarlo con autentica umanità? Di chi è un bambino?
Forse è la domanda ad essere sbagliata, in un ginepraio di opinioni che fanno di quel corpo il terreno di una lotta e non il luogo di una vita. Perché la domanda vera non è mai “di chi è”, ma “chi è”. Chi è Archie?
Nessuno può davvero rispondere. E forse di fronte a questo innegabile mistero converrebbe a tutti tacere e imparare a fermarsi. Non per affermare chissà quale ideologia, ma per provare ancora una volta ad ascoltare tutto quanto quel corpo inerme ci deve ancora dire, tutto quanto ci deve ancora insegnare. Chi è Archie? Il mistero è l’unica risposta. Ma a volte tutto questo è troppo. Sia per un tribunale che per il cuore di una madre.
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