IL CASO LHERMITTE AGITA IL BELGIO: L’EUTANASIA ALLA CONDANNATA PER OMICIDIO DEI 5 FIGLI

La morte per eutanasia in Belgio di Geneviève Lhermitte, condannata all’ergastolo (per aver ucciso i suoi 5 figli a coltellate), continua ad agitare il Paese, con echi però in arrivo in tutta Europa: specie da noi in Italia dove il tema del “fine vita” è sempre più dibattuto dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha ammesso la possibilità del “suicidio assistito”. Il Belgio non è nuovo a casi clamorosi e molto “mediatici” sul tema del fine vita, anche molto recenti: dalla Youtuber scampata dagli attentati terroristi a Bruxelles Shanti De Corte, morta per eutanasia a 23 anni, fino al caso di Tom Mortier che accusa il Belgio in Corte Ue per non aver protetto la vita della madre.



Ma è proprio il caso Lhermitte ad aprire un ulteriore “filone” nel tema già controverso e inquietante dell’eutanasia: nel 2007 aveva ucciso a coltellate i cinque figli ed era stata condannata all’ergastolo ma nei giorni scorsi, dopo sua esplicita richiesta, è stato dato il via libera all’eutanasia per «sofferenza psicologica irreversibile», seguendo con la stessa motivazione quanto avvenuto solo qualche giorno più addietro per Nathalie Huigens, vittima di stupro. Il tema insomma è la morte dallo Stato come sorta di “cura” per il mal di vivere, qualsivoglia motivazione lo abbia scatenato: che sia la condanna all’ergastolo dopo una strage familiare difficilmente “spiegabile”, uno stupro, una violenza subita o una depressione latente.



EUTANASIA COME ‘CURA’ ALLA DEPRESSIONE O ‘NUOVA’ PENA DI MORTE? UN PROBLEMA DI DIGNITÀ

Subito in Belgio l’opinione pubblica si è “divisa” tra chi ritiene giusto l’accesso alla “dolce morte” per chi non più in grado di vivere con il proprio malessere (dunque non per forza fisico) e chi invece ha sottolineato che con la morte di Geneviève Lhermitte il Paese francofono ha di fatto autorizzato l’uccisione di un carcerato 105 anni dopo l’ultima pena di morte ufficiale. Parlare di eutanasia come «autonomia e scelta» stride in effetti con quanto avvenuto con la carcerata omicida: come giustamente si pone oggi “Il Foglio”, come può un detenuto (ma anche chi si trova in una struttura psichiatrica) prendere una decisione così “libera”?



L’eutanasia per i carcerati rischia in effetti di assimilare il tema della pena di morte: fa specie tra l’altro avvenga in Belgio dove solo nel 2022 il Governo liberale ha annunciato l’impegno smodato contro la pena di morte nel mondo, in quanto «priorità della politica belga in materia di diritti umani». La pena di morte, ribadiva un anno fa il Belgio, è una «grave violazione della dignità umana». Benissimo, siamo pienamente d’accordo: ma allora come può stare in piedi contemporaneamente il via libera alla “dignità dell’eutanasia” (che di per sé si potrebbe discutere in una cultura diversa sulla concezione di vita e di morte, ndr) e l’ok alla “pena di morte effettiva” per i condannati che fanno richiesta della “dolce morte”? L’impressione, lo ammettiamo, è che dovunque ci si giri in questa vicenda è la dignità stessa ad essere perduta, quasi dimenticata: ma siamo così certi che l’umano è fatto davvero per “celare” un elemento cardine del proprio essere come la dignità?