L’eutanasia è, ancora una volta, al centro del dibattito pubblico e i mass media non esitano a farne un tema forte, esasperandone tutta la conflittualità, per misurare la distanza tra mondo laico e mondo cattolico, ogni volta che entrano in gioco i famosi valori non negoziabili.
Ma la vera novità questa volta è determinata da una potenziale divergenza di vedute, esplosa all’interno del mondo cattolico. Nel corso dei lavori dell’ultimo Consiglio permanente della Cei sono risuonate le parole di Papa Francesco che, nel discorso rivolto all’Assemblea plenaria della Pontificia accademia per la vita, aveva denunciato con forza la “cultura dello scarto”, parlando della tendenza a mettere da parte le persone anziane, malate, spesso vittime di quella “eutanasia nascosta” che non garantisce cure adeguate.
L’ultima miccia, che ha innescato un dibattito così vivace da aver sorpreso anche gli interlocutori più distratti, è scaturita dall’articolo pubblicato su La Civiltà Cattolica, la rivista diretta da padre Spadaro, considerato da molti come il teologo di riferimento di Papa Bergoglio. La Civiltà Cattolica sostiene la necessità di una legge in tal senso, soprattutto dopo la sentenza della Corte costituzionale. E una recente intervista di Flick su Avvenire sembra dare sostanzialmente ragione ai gesuiti.
pietroLa ragione principale sembra dettata dalla sostanziale ambiguità della legge sul cosiddetto consenso informato, la legge 219/2017 sulle Dat. Autorizzando il rifiuto delle cure, anche quelle salvavita, e tra queste nutrizione e idratazione, si è aperta la strada ad ogni possibile forma di eutanasia passiva, perché mentre da un lato si dilatano i confini della libertà di autodeterminazione del paziente, dall’altra si comprimono enormemente i confini della libertà del medico e di chiunque presti al paziente le necessarie cure. Al paziente tutto è concesso; al medico nulla se non con un esplicito, diretto e attuale consenso del paziente, anche se quanto lui chiede è visibilmente destinato ad accorciare la sua vita, fino a provocarne la morte.
La sentenza della Corte costituzionale, emessa sostanzialmente per sollevare Cappato da qualsiasi responsabilità per aver condotto DJ Fabo a morire in Svizzera, tracciava un itinerario molto chiaro, anche se ad alcuni è apparso forzato e non del tutto condivisibile. Senza mai nominare la parola eutanasia, enfatizzando invece il ricorso alle cure palliative, sostanzialmente diceva che la pietas poteva spingere una persona a facilitare la morte di un malato con prognosi infausta e affetto da dolori particolarmente intensi, non controllabili con i comuni farmaci a disposizione. La sentenza in altri termini allargava la porta, dischiusa dalla legge sulle Dat, e imponeva al parlamento di legiferare per fare chiarezza su di un punto così controverso come il fine vita.
La Camera ha presentato un suo disegno di legge, di cui è relatore Bazoli (Pd) e che insiste proprio sul concetto di autodeterminazione, sulle condizioni particolari del paziente: dolore refrattario ai farmaci, prossimità alla morte, consapevolezza di ciò che sta accadendo e di ciò che lui chiede e pretende. In altri termini riparte dalla legge sulle Dat, ignorando completamente il contributo straordinario offerto dalla legge sulle cure palliative, a cui pure la Corte costituzionale si riferiva. E proprio per questa opzione, così palesemente di parte, parecchie associazioni cattoliche, oltre una sessantina, hanno dichiarato la loro contrarietà alla legge attualmente in discussione alla Camera.
Per una parte del mondo cattolico sembra prevalere la pietà verso il malato e quindi l’aiuto a facilitarne la morte. Per altri esponenti del mondo cattolico sembra prevalere quella solidarietà su cui si fonda la recente enciclica di Papa Francesco: Fratres omnes. Pietà e/o fraternità, come se si trattasse di un dilemma irrisolvibile.
Due sensibilità che, almeno ad un primo sguardo, sembrano diverse pur essendo maturate all’interno di quella stessa cultura dalle radici cristiane di cui è permeato il nostro Paese. Il magistero della Chiesa e Papa Francesco più volte in questi ultimi tempi hanno ribadito un No inequivocabile davanti alla morte anticipata per intervento diretto di qualcuno, sia che si tratti di suicidio assistito che di omicidio del consenziente. Ma l’articolo di Civiltà Cattolica sembra spostare il focus del dibattito, orientandolo verso una scelta del male minore, considerando in effetti la legge attualmente in discussione come un male minore rispetto all’ipotesi referendaria, ancor più sbilanciata nel senso dell’interruzione attiva della vita di una persona.
Il referendum proposto dai radicali prevede infatti un vero e proprio omicidio del consenziente; per una “strana” forma di pietà si autorizza una persona a dare la morte, senza chiedersi se non ci fossero mille altri modi per esprimere solidarietà, accompagnamento, affetto e autentico rispetto. Ma l’opzione tra due mali, uno apparentemente maggiore dell’altro, non trasforma in un bene il male minore, che resta comunque un male. E in questo caso un male irreversibile.
La vera questione, almeno a livello politico-parlamentare è quanto sia possibile modificare l’attuale proposta di legge per farne uno strumento più umano di accompagnamento a chi soffre, senza porre fine alla sua vita, ma rendendola più sopportabile o meglio ancora più amabile. E per questo il punto di partenza non dovrebbe essere la legge sulle Dat, ma la legge sulle cure palliative. Una legge che resta ancora incompiuta: manca un vero investimento nella ricerca per le cure contro il dolore e soprattutto mancano le risorse necessarie a sostenere tutta la famiglia perché si faccia carico del familiare in grave difficoltà. Manca una promozione efficace della relazione di cura familiare, a sostegno dei caregivers e la morte è presentata come unica alternativa, mentre è la sconfitta di chi continua a vivere portando su di sé molti sensi di colpa, un vuoto di cui difficilmente si libererà!
Certamente l’inquietudine per la prospettiva del referendum sull’eutanasia impegna a rivolgere l’attenzione verso coloro che si pongono seri interrogativi sul senso del vivere e del morire, soprattutto in questo tempo di smarrimento. Non solo la Chiesa, ma anche il Parlamento intende farsene carico affinché le loro domande trovino persone capaci di quell’accompagnamento necessario a ritrovare a ciascuno vecchie e nuove ragioni di vita.
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