COSA HA DECISO IL COMITATO DI BIOETICA SUI CRITERI PER IL SUICIDIO ASSISTITO: LA DECISIONE SULLA SENTENZA CONSULTA 2019
Secondo il Comitato Nazionale per la Bioetica il suicidio assistito non può essere “ampliato” con interpretazioni troppo estensive e per questo ha fissato nettamente i confini sui trattamenti di sostegno vitale escludendo che si possa aprire una “eutanasia” in Italia che dia a prescindere il “diritto” ad uccidersi. Lo ha deciso lo stesso organismo di consulenza della Presidenza del Consiglio, diretto dal laico scienziato Angelo Vescovi, rispondendo ad un quesito posto dal Comitato Etico Territoriale dell’Umbria proprio in merito ai criteri fissati dalla sentenza della Consulta numero 242/2019, quella del celebre caso Dj Fabo-Marco Cappato.
Con quella sentenza la Corte Costituzionale ammette – in attesa di una legge specifica dello Stato – in 4 specifici criteri la possibilità di richiedere il suicidio assistito (senza possibilità che tale aiuto si conclude con un reato punibile per legge): si può ammettere l’assistenza medica al suicidio quando la persona è «capace di prendere decisioni libere e consapevoli»; «affetta da una patologia irreversibile», la quale sia «fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili», e infine «tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale».
Ebbene, il Comitato Nazionale di Bioetica, rispondendo al quesito sul quarto criterio della Consulta, sottolinea come i trattamenti di sostegno vitale siano indirizzati «alla risposta a condizioni che mettono a rischio la vita, in un arco di tempo breve o addirittura brevissimo»: in questo senso, chiarisce la decisione integrale del Comitato, i trattamenti stessi non sono quelli che si limitano ad un semplice sostegno, «ma costituiscono una vera e propria sostituzione di funzioni vitali con «la morte del paziente che a seguito della loro sospensione conseguirebbe in tempi molto brevi». Visti i tanti casi richiesti di suicidio assistito proprio a partire da quella sentenza della Corte, e visto che l’assenza del quarto criterio ha spesso Crato dissapori e scontri giuridici tra tribunali, medici e pazienti, ecco la decisione del Comitato di rispondere nel merito. In letteratura medica, spiega il CNB, «non esiste una definizione condivisa di Tsv (trattamenti di sostegno vitale)», il che ha imposto di unire le considerazioni cliniche a quelle bioetiche e giuridiche dettate dalla sentenza della Consulta.
VESCOVI (PRESIDENTE COM. BIOETICA): “LA CONSULTA NON HA APERTO ALL’EUTANASIA INCONDIZIONATA”
Il criterio deve essere dunque flessibile, secondo il Comitato Nazionale di Bioetica, volto a garantire il più possibile il diritto alla vita (e non alla morte) e al contempo preservare la libertà dei casi che rientrano completamente nei 4 criteri fissati dalla Corte Costituzionale. Vanno inquadrati «i Tsv in relazione alle loro finalità, alla loro intensità e alle conseguenze della loro sospensione; ciò deve sempre essere letto nel contesto del pronunciamento della Corte costituzionale», chiarisce il parere del Comitato votato con 19 Sì, 5 richieste di puntualizzazioni e 4 non partecipanti al voto. In definitiva però, sono a favore di una «rigorosa tutela della vita umana nella condizione di massima fragilità» tutti i 24 membri del Cnb.
I pienamente favorevoli alla limitazione di presunte “interpretazioni” al suicidio assistito – il riferimento è indiretto ma chiaro alle richieste presentate dallo stesso Marco Cappato di includere come ammissibile anche i casi senza la presenza di trattamenti di sostegno vitali, pendente da una seconda decisione della Consulta imminente – ribadiscono che i Tsv «debbano costituire una vera e propria sostituzione delle funzioni vitali, e che la loro sospensione debba comportare la morte del paziente in tempi molto brevi». Serve bilanciare la tutela della vita con l’autodeterminazione, limitando di fatto l’area di non punibilità dell’aiuto al suicidio a condizioni specifiche: lo ha spiegato bene all’Avvenire anche il presidente del Comitato di Bioetica, lo scienziato e docente di Biologia alla Link Campus University di Roma, Angelo Vescovi. «La Corte costituzionale ha inteso delimitare un perimetro entro il quale si potesse dichiarare non punibile l’aiuto al suicidio medicalmente assistito (secondo l’articolo 580 del Codice penale), non certo di aprire incondizionatamente la possibilità di togliersi la vita», ovvero ad una eutanasia nei fatti incondizionata: secondo il n.1 del Cnb, insomma, non esiste in Italia – e non lo prevede neanche la sentenza della Corte Costituzionale – alcun “diritto ad uccidersi”. La decisione del Comitato arriva poi a corredo di una recente sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) che chiarisce come la negazione del suicidio assistito «non viola affatto i diritti del malato», proprio in quanto «non esiste alcun diritto a morire».