In Gazzetta Ufficiale la nuova rimessione alla Corte costituzionale sul suicidio assistito. È l’ordinanza con cui il 17 gennaio scorso il gip Agnese De Girolamo aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 580 del Codice penale, l’articolo che punisce l’istigazione o aiuto al suicidio e già modificato dalla sentenza della Consulta 242 del 2019, nota anche come sentenza Cappato, in quanto emessa al termine del procedimento sull’accompagnamento alla morte di dj Fabo, al secolo Fabiano Antoniani, morto in Svizzera nel 2017. Dopo quella vicenda, il supporto radicale all’eutanasia non si è fermato, infatti nel dicembre 2022 gli attivisti Marco Cappato, Felicetta Maltese e Chiara Lalli avevano organizzato l’ultimo viaggio di un uomo di 44 anni di San Vincenzo (Livorno) affetto da sclerosi multipla, anch’egli morto in Svizzera attraverso suicidio medicalmente assistito. Dopo la morte, i tre si autodenunciarono alla stazione dei carabinieri di Firenze, in quanto l’uomo era privo del requisito inteso in senso restrittivo del «trattamento di sostegno vitale» richiesto dalla Corte costituzionale per poter accedere in maniera legittima, in Italia, al suicidio assistito.
La sentenza 242 del 2019 dichiara la parziale illegittimità della punibilità del suicidio assistito a cinque precise condizioni: l’aspirante suicida deve aver maturato il proposito liberamente, deve essere tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, deve essere affetto da malattia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche non tollerabili, inoltre devono essere adeguatamente verificate da una struttura pubblica, il soggetto deve essere «stato informato […] in ordine alle possibili soluzioni alternative, con riguardo all’accesso alle cure palliative».
EUTANASIA, IL NODO DEL REQUISITO DELLA DIPENDENZA DA TRATTAMENTI DI SOSTEGNO VITALE
Alla luce di ciò, l’uomo toscano non avrebbe avuto il diritto di essere accompagnato a morire. Per questo l’autodenuncia dei tre attivisti pro eutanasia, cui il 23 novembre scorso è seguita dal pm e dai difensori degli indagati una richiesta di archiviazione che il gip ha respinto. Una decisione seguita dall’ordinanza, secondo cui è «rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 580 del Codice penale, come modificato dalla sentenza numero 242 del 2019 della Corte costituzionale, nella parte in cui richiede che la non punibilità di chi agevola l’altrui suicidio sia subordinata alla che l’aiuto sia prestato a una persona “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”». La Corte costituzionale deve ora stabilire se l’articolo 580 è o meno in «contrasto con gli articoli 2, 3, 13, 32 e 117 della Costituzione, quest’ultimo in riferimento agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo».
Per l’avvocato Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’associazione Luca Coscioni, il requisito del trattamento del sostegno vitale, se interpretato in maniera restrittiva, è discriminatoria. Resta da capire se la Consulta sposerà o meno questo punto di vista. Se saltasse il requisito del trattamento di sostegno vitale, quindi se fosse lecito il suicidio assistito anche a chi sopravvivrebbe senza un decisivo legame di dipendenza con un trattamento, l’Italia – spiega Giuliano Guzzo sulla Verità – «rischierebbe di avvicinarsi a quei modelli olandese e svizzero tali per per cui, ormai, si può ottener la morte anche se depressi e stanchi di vivere».