EUTANASIA, LA SCELTA DI FABIO RIDOLFI

Voleva l’eutanasia, non la ottiene e propende così per la sedazione profonda e continua: si “chiude” così la drammatica storia di Fabio Ridolfi, 46enne di Fermignano (Pesaro-Urbino), a letto immobilizzato da 18 anni a causa di una terribile tetraparesi: tramite la sua famiglia, Fabio ha annunciato – dopo diversi ricorsi giudiziari – che si sottoporrà alla sedazione profonda «a seguito della mancata risposta da parte del Servizio sanitario regionale delle Marche che, dopo aver comunicato con 40 giorni di ritardo il parere del Comitato etico con il via libera per l’aiuto medico alla morte volontaria, non ha mai indicato il parere sul farmaco e sulle relative modalità di somministrazione», rilancia l’Associazione Luca Coscioni.



In un nuovo video apparso sui social (qui sotto nel servizio del Tg3, ndr), Fabio spiega con il puntatore oculare che gli permette di comunicare: «da 2 mesi la mia sofferenza è stata riconosciuta come insopportabile. Ho tutte le condizioni per essere aiutato a morire, ma lo Stato mi ignora. A questo punto scelgo la sedazione profonda e continua, anche se prolunga lo strazio per chi mi vuole bene». Il 27 maggio scorso infatti Ridolfi aveva diffidato l’Asur (Azienda sanitaria unica regionale) Marche a effettuare in tempi brevi le verifiche sul farmaco: a questa diffida, secondo l’Associazione Coscioni, non sarebbe mai giunta risposta. «Fabio aveva un diritto, quello di poter scegliere l’aiuto medico alla morte volontaria, legalmente esercitabile sulla base della sentenza 242 della Corte costituzionale (Cappato\Dj Fabio). Un diritto che gli è stato negato a causa dei continui ritardi e dell’ostruzionismo di uno Stato che, pur affermando che ha tutti i requisiti previsti dal giudicato costituzionale, e riconoscendo che le sue sofferenze sono insopportabili, gli impedisce di dire basta», attaccano in una nota Filomena Gallo, segretario nazionale dell’Associazione Luca Coscioni e il tesoriere Marco Cappato.



ASSOCIAZIONE COSCIONI, COMITATO ETICO E IL VESCOVO: IL “CASO” DI FABIO

Per l’Associazione Coscioni, la scelta di morire tramite una lunga sedazione profonda non sarebbe dignitoso per la vita di Fabio Ridolfi: «merita rispetto e non di essere ignorato da uno Stato che crudelmente lo costringe a una sofferenza continua e non garantisce la sua scelta legalmente attuabile. Ogni giorno che passa per Fabio è un giorno di sofferenza in più […] E’ da oltre 2 mesi che aspetta e l’Asur continua a ignorare la sua richiesta, dopo aver tenuto per 40 giorni in un cassetto un parere che affermava la presenza dei requisiti per accedere legalmente al suicidio assistito».



L’associazione nata dall’esperienza dei Radicali, chiudendo la nota sulla vicenda di Fabio, attacca anche la politica nazionale in quanto «impegnata nell’insabbiamento al Senato del testo di legge sull’aiuto al suicidio, dopo che la Corte costituzionale ha impedito al popolo di esprimersi sul referendum». Il Comitato Etico aveva dato il suo parere positivo sulla sussistenza delle condizioni necessarie per procedere all’aiuto medico per la morte volontaria, ma era ancora atteso il parere dell’Asur Marche. Sul “caso” di Fabio Ridolfi era intervenuto negli scorsi giorni anche il nuovo arcivescovo di Pesaro, Sandro Salvucci, con una lettera pubblica: «Quando una persona arriva a scegliere di mettere fine alla propria vita – scriveva monsignor Salvucci – si impongono atteggiamenti di profondo rispetto per chi vive una sofferenza tale da fargli dire: “Che senso ha una vita così?”. In questi momenti occorre vicinanza fraterna». Non solo, l’arcivescovo poneva anche un “tassello” in più alla vicenda umana già molto complessa: «La richiesta di “suicidio assistito” da parte di Fabio fa comprendere l’urgenza che le comunità cristiana e civile si adoperino sempre più nel recare consolazione, cura, prossimità, speranza, affinché nessuno si senta solo, in ogni momento della propria vita, soprattutto nei momenti più difficili. La vita umana, ogni vita umana, è un dono ricevuto, che va tutelato e difeso in ogni condizione. Di fronte a queste situazioni così intime e personali dovremmo, anzitutto, evitare che diventino lo spazio di “battaglie” pubbliche, etico-politiche, tra credenti e non credenti, tra “conservatori” e “progressisti”».