L’APPELLO DELLE AZIENDE DELLA SANITÀ DI FRANCIA CONTRO IL TESTO SULL’EUTANASIA

Mentre prosegue spedito il progetto di legge sull’eutanasia e il suicidio assistito in Francia – dopo aver incassato quello pochi giorni fa sull’aborto in Costituzione – il Governo Macron-Borne si ritrova alle prese con un importante e vasto appello siglato da 800mila professionisti che operano nella sanità francese. In tutto 13 organizzazioni e società scientifiche firmano un testo comune che respinge la pratica dell’eutanasia, definendola «incompatibile con la professione di assistenza medica». La notizia non è da poco tanto da conquistare la prima pagine di “Le Figaro” in Francia, entrando nel dibattito dell’opinione pubblica negli stessi giorni in cui le vaste proteste sulla riforma pensioni riempiono le piazze francesi.



«È un passo senza precedenti. E un avvertimento importante. Mentre Emmanuel Macron ha aperto il dibattito sull’eutanasia e il suicidio assistito all’inizio dell’anno scolastico, tredici organizzazioni professionali e società dotte, che rappresentano 800.000 professionisti della sanità di tutti i ceti sociali, sono unite nel rifiuto di partecipare all’assistenza attiva nel morire», scrive oggi “Le Figaro” riportando in ampi stralci l’appello siglato dai medici francesi. L’eutanasia viene definita dai professionisti – ergo non solo dalle organizzazioni cattoliche o vicine alle tesi pro-life – «incompatibile con la pratica della morte amministrata dal medico»; non solo, la stessa pratica di iniettare una sostanza letale in un paziente garantito per legge sarebbe «un grande cambiamento etico che sconvolgerebbe la definizione di cura e indebolirebbe le équipe».



SANITÀ FRANCIA: “EUTANASIA? NO, URGENZA È GARANTIRE CURE DI QUALITÀ A TUTTI”

Il testo di una ventina di pagine, inviato alle istituzioni francesi e al Presidente Emmanuel Macron, prende la questione dell’eutanasia e del disegno di legge ancora in discussione sotto tutti i punti di vista e di riflessione: un lavoro comune di medici, sanitari e infermieri che provano a far capire il proprio punto di opinione informata e competente in merito a cosa è possibile “accettare” o meno nelle pratiche sanitarie immaginate dal Governo francese. «Tra tutti gli infermieri che rappresentiamo, forse alcuni hanno un’opinione più sfumata o meno assertiva, ma c’è un consenso molto forte sul timore di trasformare il significato della nostra professione. L’intento primario dell’assistenza deve rimanere il conforto, la pacificazione. Non il desiderio di uccidere», spiega Évelyne Malaquin-Pavan, infermiera clinica specializzata e presidente del CNP (Consiglio Nazionale Professionale) degli infermieri. I professionisti che siglano il documento sono tantissimi, dagli infermieri ai medici “generali”, dai geriatri agli oncologi fino a quelli che lavorano nell’ambito dell’ospedalizzazione domiciliare: «Questo è un problema importante che riguarda tutti i caregiver. Non solo le cure palliative. Abbiamo quindi deciso di rifletterci insieme e questo processo ha avuto una risposta molto forte in tutte le discipline», spiega a “Le Figaro” Sara Piazza, psicologa in terapia intensiva e cure palliative presso il centro ospedaliero di Saint-Denis in Seine-Saint-Denis.



Nel parere si sottolinea come fino ad oggi in nessun Paese occidentale – Belgio, Svizzera, Spagna e Paesi Bassi quelli con legislazioni più “spinte” sul tema dell’eutanasia – «ha legalizzato una forma di morte amministrata senza includere la partecipazione di un assistente nel processo»; i professionisti, al netto delle diverse posizioni su cure palliative e assistenza al dolore, sono netti nel rifiutare «categoricamente l’approccio eutanasico» mentre sono più aperti a considerare il tema del suicidio assistito (in cui è il paziente stesso a compiere l’atto) ma sempre con un approccio netto, «La valutazione della volontà del paziente, ma anche la prescrizione del prodotto letale non deve essere assimilata alla cura e deve essere separata dalla pratica della cura». Molto dura la critica al Governo che sì ha avviato una serie di consultazioni anche pubbliche sul tema prima di presentare il disegno di legge in parlamento, ma senza realmente discutere nel merito la vicenda chiave: «Nei gruppi di lavoro a cui abbiamo partecipato si è parlato di cure palliative, di badanti e di lutto, ma i temi del suicidio assistito e dell’eutanasia non sono mai stati menzionati direttamente», attacca Gaël Durel, presidente del coordinamento dei medici Ehpad. Ancor più critico il commento lasciato a “Le Figaro” da Maxence Gal, consulente liberale e membro dell’NFC, «È come se volessero affidarci il ruolo di boia senza preoccuparsi di cosa ne pensiamo». Molto netto il punto di vista offerto poi da Sophie Chrétien dell’Associazione degli infermieri esperti (Anfipa): «Vogliamo sottolineare che una legge sull’eutanasia avrebbe un impatto sull’intera catena di assistenza e sul modo stesso in cui accompagniamo i pazienti»; questo perché il tema dell’eutanasia in Francia come dovunque è intrinsecamente legato a quello della vulnerabilità.

Lo fa ben capire l’ex ministro della Sanità, Elisabeth Hubert, oggi presidente della Fnehad: «La richiesta di scegliere la propria morte è molto fluttuante e dipende dall’alleviamento delle sofferenze fisiche e psicologiche. Spesso ci troviamo a curare pazienti che un giorno dicono di voler porre fine alla loro vita e il giorno dopo fanno progetti per il futuro». Al termine del documento siglato, i professionisti della sanità sottolineano come «Queste richieste sono lo scenario di un confronto tra due libertà: quella del paziente e quella di chi lo assiste, oggi inquadrato da un chiaro quadro normativo ed etico». Non li rassicura la presenza di obiezione di coscienza ammessa nel disegno di legge, in quanto «Se un badante si ritira, sarà costretto a trovare qualcuno che lo sostituisca. Rifiutiamo una frammentazione dell’etica comune, che rischia di minare la dimensione collettiva dell’assistenza». L’urgenza, chiosano i sanitari, è quella di rendere disponibili cure di qualità a tutti i cittadini, dunque lo Stato dovrebbe preoccuparsi di «colmare le lacune evidenti del nostro modello di assistenza» e non di pensare a modalità per “dare la morte” con l’avvallo attivo dei medici.